LAVORI IN CORSO NEL PD IN VIA DI ESTINZIONE……
Del PD nazionale sappiamo che è concentrato verso le primarie del 3 marzo ,scadenza alla quale giungerà senza aver risolto o superato gli asti e i rancori che dividono il partito in gruppi e sottogruppi. Al momento nei circoli Pd delle periferie ma anche nelle grandi città la partecipazione è bassa : uno su due iscritti va a votare.Brutto segnale per i gazebo del 3 marzo anche se ormai si dà per scontato che sarà Zingaretti a prevalere.
Ma è una consultazione senza anima e senza passione né si vede a cosa si dovrebbe appassionare uno che politicamente non vuol guardare in altra direzione.Fatta eccezione per le scialbe apparizioni televisive dei candidati alla segreteria, il partito non c’è o, se c’è, non si percepisce. Non riesce nemmeno a portare fuori, fra la “gente”, quel poco di opposizione che riesce a fare in parlamento. E’ bloccato, prigioniero della disfatta del 4 marzo, sopravvive grazie ai conflitti interni che la disfatta non ha scalfito. Ci si divide ancora fra renziani e antirenziani non rendendosi conto che la questione , fuori dalle sedi del partito e dal notabilato che lo occupa, non interessa nessuno se non chi ha il proprio destino e le proprie convenienze legate alla sorte del PD.
Bisogna però riconoscere che è Matteo Renzi a tenere paralizzato il PD nonostante lui vada dicendo che non è interessato né al congresso né alle dinamiche interne al partito. Dopo essere caduto dagli altari del potere nella polvere della sconfitta è diventato il leader del partito “pop-corn”, cioè dell’attesa inerte che il governo Salvini-Di Maio cada per autoconsunzione o, più probabilmente, per i danni e i guai che avranno procurato al Paese e a livello internazionale.
Basterebbe , lasciando da parte fabbriche, università, concentrazioni impiegatizie, andare in qualche mercatino rionale , nei bar di quartiere e dove,nei paesi dello Stivale, si gioca a carte per stare insieme e chiacchierare per rendersi conto che il PD, se non trova il modo di reagire e riprendersi, magari trapiantandosi in una formazione politica più larga e inclusiva, è in via di estinzione.Proprio come è andata per la vecchia DC.
Il problema si pone perché, nella scomposizione e frammentazione della sinistra storica, il PD resta il riferimento obbligato, a parte la CGIL che con l’elezione di Landini a segretario offre nuove speranze e nuovi entusiasmi.
Anche in Calabria il Pd cerca di dare segni di vita ma sono sussulti di un corpo che ha perso ogni contatto con la realtà sociale e i problemi che esprime. Anestetizzato dalla disfatta elettorale, in Calabria più pesante che altrove, nonostante sia intestatario politico del governo regionale e del governo di molti comuni , oggi deve anche fare i conti con l’obbligo di dimora inferto a Mario Oliverio a seguito del suo coinvolgimento in una vicenda giudiziaria dai contorni limacciosi e oscuri.
Da qui,probabilmente,la decisione di Roma di commissariare nuovamente il partito in Calabria al fine di evitare ulteriori sfracelli politici ed elettorali. Dopo la rinuncia di altri interpellati, l’incarico è stato affidato a Stefano Graziano , consigliere regionale a Napoli, presidente del PD campano uscito indenne da una delicata vicenda giudiziaria su richiesta dell’accusa.
Graziano ha già avuto i primi incontri, ha invitato tutti a “tornare alla normalità”, a rinsaldare l’unità interna superando “ contrasti e lacerazioni interne “ e a rilanciare il partito tornando “ a lavorare sui territori”.A suo dire ha incontrato comprensione, disponibilità e spirito costruttivo.Tutti elementi per doversi preoccupare essendo nota la doppiezza dello star system “piddino” che travalica quella duttilità che si riconosce alla politica in funzione del potere.
Faranno un convegno sul “regionalismo differenziato” ovvero su quella autonomia fiscale che regioni ricche come Lombardia,Veneto ed Emilia Romagna rivendicano sulla base di referendum “fatti in casa” da mettere sul tavolo del governo nazionale.
Non sappiamo se Graziano ha chiesto ai plenipotenziari del PD calabrese-si fa per dire- quali iniziative, quali “cantieri di ascolto”, quali incontri con la “ggente”abbiano sviluppato per spiegare la sconfitta , dove porta il governo in carica e che prezzo si appresta a pagare il Mezzogiorno. Una domanda la cui risposta spiegherebbe ampiamente la catalessi in cui è caduto il partito.
Graziano non ha ancora incontrato Mario Oliverio ma ha assicurato che lo farà .Dicono di Graziano che è sufficientemente navigato politicamente per non rimanere irretito da Oliverio e dai suoi spregiudicati strateghi. Dovrà vedersela con l’obbligo di dimora, la richiesta di un rimpasto di giunta sollecitato dall’interno del PD e la ricandidatura di Oliverio alle prossime regionali sulla quale il partito non si è mai pronunciato.