LA CALABRIA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS……
Lettera di una cittadina di Catanzaro alle prese col contagio
“Hanno scritto sui giornali e detto delle cose indegne sul comportamento mio e di mio marito. Al rientro da Campitello di Fassa, abbiamo chiamato a tutti i numeri predisposti (Regione-ASP-P.S. Ospedale – Forza Pubblica). Tutti ci hanno risposto che la località in cui eravamo stati non era qualificata come zona rossa, perciò ci hanno detto di rivolgerci al medico di famiglia. E’stata diagnosticata una broncopolmonite e a mio marito è stata prescritta una terapia antiobitica iniettiva. Peggiorando la sua situazione, essendo stati lasciati soli ho cercato di assistere mio marito con una bombola di ossigeno.
Viste le sue disperate condizioni ho chiamato il 118, avvisandoli della possibilità del contagio, i sanitari intervenuti, senza alcuna protezione solo con la mascherina, hanno messo a mio marito la mascherina anticontagio e portato mio marito al PS, con codice rosso. Qui è stato visitato dal consulente medico del reparto malattie infettive che nonostante hanno rifiutato di fare subire il tampone ed è stato ricoverato nel reparto malattie infettive senza alcuna precauzione.
Qui il giorno dopo è stato messo in una stanza con una altra persona. Il 3 sera gli hanno fatto il tampone. Nel frattempo, aveva finito l’ossigeno e ho dovuto gridare per avere assistenza. Solo dopo due ore ha avuto l’ossigeno. Mio marito con tutto il letto e portato in una stanza singola, a pressione negativa. Solo dopo che solo al terzo giorno è iniziata la terapia di protocollo, ma non sappiamo se usano il protocollo suggerito dallo Spallanzani. E’stato isolato, senza alcuna assistenza, lasciato con un telefono a disposizione per chiamare numero infermeria, al quale non risponde nessuno né dall’interno né dall’esterno. La notte trascorsa ha subito l’umiliazione di restare nei suoi escrementi e nel letto sporco nudo e coperto con un mezzo lenzuolo, gli è stato detto che forse una volontaria sarebbe andata a soccorrerlo. Io e mio figlio non abbiamo nessuna notizia da parte dei sanitari. Abbiamo appreso dal telegiornale che è positivo al coronavirus.
Gli infermieri del P.S. e del Reparto di malattie Infettive, che avrebbero dovuto tutelare i diritti del malato e la sua privacy, hanno divulgato, senza nemmeno nascondere la loro identità e professione, il nome del malato, la sua malattia e il nome dei familiari. La reputazione di mio cognato, pediatra, è stata compromessa. A me è stato impedito il ritorno a casa, dalla folla dei giornalisti e dei vicini sotto. Sono dovuta restare in Ospedale nel reparto di malattie infettive, senza alcuna assistenza. Non mi hanno fatto alcun tampone. Il giorno dopo, non potendo rientrare a casa, sono stata ospite del medico di famiglia, come me in auto- quarantena. Ci hanno fatto il tampone solo nel pomeriggio. Stamattina ho appreso dal tg3 che sono positiva al coronavirus. Nessun sanitario mi ha contattato. Le grida dei vicini e degli abitanti del palazzo mi hanno costretto ad abbandonare la casa del medico di famiglia che mi ospitava. Sono rimasta sola a piangere nella mia macchina davanti al porto di CZ Lido finché la polizia non mi ha scortato a casa mia, dove sono rinchiusa senza alcuna assistenza.
Mi domando come possa considerarsi Stato Civile quello in cui vivo, dove i più elementari diritti di tutela del malato sono violati, dove le informazioni riservate vengono date in pasto al pubblico ludibrio e non agli interessati, mio figlio, che sta a Londra, sono tre giorni che tenta di contattare i referenti del Reparto di malattia infettive, abbiamo dovuto rivolgerci a dei legali per ottenere quello che in un Stato di diritto è dovuto, tutela della nostra dignità. Mi vergogno di appartenere a questa Città e mi preoccupo per la sorte di tutti quelli che dopo me potrebbero subire lo stesso trattamento inumano, mi hanno trattato come un’appestata, hanno gridato che andassi via dalla casa del mio medico di famiglia, nei messaggi vocali su whastapp hanno insultato mio marito perché andava in giro ad appestare i catanzaresi. Alcuni di loro, certo, hanno dimenticato cos’è la “pietas” .