IL CORONAVIRUS IN CINA E IL” DIRITTO ALL’APERITIVO” IN ITALIA…
C’è una scuola di pensiero, in progressiva espansione, orientata a stabilire se l’incidenza del coronavirus con i suoi letali effetti è contrastata più efficacemente con assetti di governo democratico o con assetti di governo autoritario.
L’interrogativo nasce dal fatto che l’esplosione del virus avviene in Cina dove la struttura di governo è di tipo autoritario, espressione di un sistema di potere ideologicamente costruito su base socialista e di fatto egemonizzato dal partito comunista e dal suo apparato.
Ci vorrà del tempo per poter mettere a confronto i risultati e le modalità con cui il virus è stato contrastato nella Repubblica Popolare Cinese e nelle democrazie mature e consolidate dell’Occidente ma ciò non impedisce di sviluppare alcune considerazioni in attesa di più rigorosi approfondimenti.
Intanto sappiamo che, allorchè diventa di pubblico dominio che nella città di Wuhan è emerso un focolaio di propagazione del virus, il gruppo dirigente del potere locale, sospettato di averlo sottovalutato, è stato destituito in blocco, la città blindata e i sedici milioni di cittadini consegnati in casa.La misura, dopo qualche giorno,è stata estesa all’intera provincia con circa 60 milioni di abitanti.
In seguito abbiamo appreso di sofisticatissimi controlli sui cittadini attraverso lo smartphone oppure dell’utilizzo di droni che filmavano chi era per strada, al fine di verificare se erano autorizzati.
Mettendo da parte le operazioni di disinfestazione di tutte le strutture pubbliche, luoghi di assembramento e mezzi di trasporto pubblico, nonché la costruzione ex-novo di un ospedale in circa 10 giorni, l’aspetto sul quale riflettere è se la catena di comando accentrata in poche mani , con l’impiego dell’apparato militare ha potuto , per l’immediata esecuzione delle decisioni, dare risultati che l’articolazione dei poteri,in un paese a struttura democratica, non riuscirebbe ad ottenere.
Da qui la riflessione si estende ai comportamenti irresponsabili di quanti in Italia hanno esercitato i loro diritti di libertà, garantiti dalla Costituzione , a danno della tutela della salute pubblica, una volta accertata la pericolosità del coronavirus.
Cosa dire di chi ha organizzato feste, assembramenti di varia natura, appuntamenti al bar, spostamenti senza controllo ignorando deliberatamente indicazioni e disposizioni ? Perché la libertà di andare per strada è diventata libertà di contagiare ? Perché si è lasciato troppo a lungo alla valutazione dei governi regionali la pericolosità della situazione là dove la Costituzione prevede che in caso di epidemia le decisioni sono del governo nazionale? E perché mai si è lasciata al cittadino italiano la discrezionalità, in assenza di sanzioni, di trasmettere il contagio? In Cina pare che il trasgressore delle disposizioni emanate rischiasse 5 anni di carcere mentre in Italia sarà tutta da verificare l’efficacia delle sanzioni disposte tardivamente.
Comunque,al netto dei casi di ignoranza ,incoscienza e cialtroneria il Paese in massima parte ha risposto, dopo una fase contraddittoria della comunicazione istituzionale, con disciplina e responsabilità dovendosi considerare compatibili con la paura gli assalti ai banchi alimentari dei supermarket.
Anche le raccomandazioni dei personaggi dello spettacolo, dello sport, della TV a stare a casa hanno avuto la loro incidenza positiva così come un effetto emotivamente positivo hanno ottenuto i video ispirati all’orgoglio nazionale nel momento in cui sono stati chiusi gli scali aerei e i valichi di frontiera isolando gli italiani.
Ora dalla Cina vengono notizie che la situazione va migliorando, i focolai più minacciosi sono stati spenti e la casistica dei contagi è notevolmente ridotta.Si torna a vivere e a produrre. Troppo poco,però,per prendere in considerazione il regime di Xi-Jinping e del suo politburò. Ci teniamo la democrazia, rendendoci conto che la libertà va comunque difesa quanto la salute. Il problema sta in quanta libertà siamo disposti a sacrificare per salvare la nostra e l’altrui vita. Qualcuno si è lamentato con Salvini che non poteva rinunciare al “diritto all’aperitivo”.