SANITA’ – Facciamo i nomi dei responsabili del disastro
Gira sul web, ed è stato oggetto di un servizio RAI, un documento del Dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria.
Oggi si aggiunge una analoga analisi dell’agenzia Armino.
Il tema è quello della enorme incidenza della mobilità sanitaria. Cioè, in parole semplici dei calabresi che vanno a curarsi fuori Regione e la cui assistenza costa – alle casse regionali – oltre 300 milioni di euro parte dei quali potrebbero essere risparmiati ed altri spesi in Calabria evitando viaggi e disagi ai calabresi.
Denuncia il Dipartimento Tutela della Salute: Come è possibile? Non vi saranno per caso comportamenti opachi o opportunistici?
Se non fossero cose tremendamente serie ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate per la tragica impudenza e l’impreparazione dei redattori del documento regionale tendente a nascondere realtà e responsabilità.-
Spendiamo oltre 300 milioni di euro, anzi li buttiamo, per far curare i calabresi fuori Regione?
Si, li costringiamo, letteralmente ad andare via dalla Calabria. Non ho prove per dire che dietro a questo ci sia il malaffare ma certo c’è negligenza e indifferenza, anzi disprezzo per i cittadini calabresi e per le risorse pubbliche.
E questa gravissima responsabilità ha nomi e cognomi ed io li conosco: Mario Oliverio, Massimo Scura, Saverio Cotticelli, Francesco Bevere, Guido Longo, Giacomino Brancati, e tanti che occupano le stanze di Palazzo Santelli e resistono all’insegna del “cosa-mi-importa-tanto-non-sono-soldi-miei”.-
Le prove di ciò che dico: eccole. A ciascuno di questi signori ho ripetutamente segnalato dal 2014 ad oggi, costantemente, in tutti i modi, e documentalmente ciò che è sotto gli occhi di tutti e che oggi il sig. Brancati, insieme agli altri della compagnia “Alice-nel-paese-delle-meraviglie”, scoprono quasi con allarme e indignazione: i calabresi vanno fuori Regione per avere prestazioni ordinarie (non per il trapianto di cuore, ma per menischi, cataratte, protesi ecc. ecc.) che potrebbero avere in Calabria, senza disagi, senza viaggi e con costi per le casse della Regione dimezzati rispetto a quello che paghiamo alle altre Regioni.
E’ stato documentato ben più volte, ad esempio per il caso della PET: i calabresi lo chiedono altrove ma a Cosenza potrebbero averla presso una struttura di altissima qualità che, se accreditata, (quindi servizio pubblico a tutti gli effetti senza oneri per il cittadino) potrebbe rendere la prestazione con costi, per le casse pubbliche, ridotti del 50% rispetto alla tariffa pagata, per legge alle altre Regioni. Eppure (documento allegato) un ufficio della Regione dice che non è possibile accreditarla perché non ci sarebbe il fabbisogno. Poi, però un altro ufficio dice al cittadino (proprio a quello che esprime il fabbisogno) che non v’è possibilità di assisterlo perché non c’è la macchina o perché l’attesa è troppo lunga, costringendolo ad andare fuori regione; infine un altro ufficio sempre della stessa amministrazione, con l’analisi di cui sopra denuncia il grave problema della emigrazione sanitaria chiedendosi il perché ed anzi ammiccando a ipotesi di comportamenti opportunistici o truffaldini.
Più grave ancora è il comportamento tenuto negli altri casi.
In presenza di budget esauriti a settembre ed a liste d’attesa, nel pubblico, di mesi, perciò inaccettabili e induttivi di emigrazione sanitaria, abbiamo chiesto e pregato che si applicasse la norma (art. 8 quinquies d. lvo 502/92 allegata) che semplicemente e banalmente prescrive che nei contratti si devono inserire i criteri per la remunerazione delle prestazioni in esubero rispetto ai tetti contrattualizzati. Ovvero tariffe ridotte, in modo da rispettare il tetto massimo globale, consentire al cittadino di curarsi in Calabria e spendere presso strutture accreditate (quindi nell’ambito del servizio sanitario regionale senza oneri per il cittadino) importi di gran lunga inferiori a quelli riconosciuti alle altre Regioni.
Niente. Niente di niente. La risposta è sempre stata sostanzialmente: “Si va bene, ma noi abbiamo altro da fare. Dobbiamo completare il disastro della sanità calabrese”.
Ripeto: tutti i signori prima indicati erano ben consapevoli del problema e della sua possibile – dovuta – semplice soluzione come da me prospettata, con rispetto e disponibilità al confronto.
Allego i documenti ripetutamente tramessi, depositati, illustrati, accoratamente caldeggiati senza alcuna risposta. Mai.
Dunque basta con le mezze frasi, i responsabili sono sempre gli altri, le strutture impersonali, il destino, in Calabria tutto è più difficile, l’eredità che abbiamo trovato. No. Basta.
Ci sono responsabilità ben precise. E ci sono i nomi.
Avv. Enzo Paolini