C’era molta attesa per il discorso rituale di fine anno del presidente della Repubblica essendo il discorso di commiato di fine settennato. La scenografia prescelta è stata la sala“la vetrata”, in piedi e alle spalle la bandiera italiana e quella europea. La sobrietà della scenografia, innovativa rispetto alla tradizionale scrivania, si è dimostrata , alla fine della esternazione, presidenziale, in linea con la sobrietà del discorso.
Una rievocazione,più che altro, di come Mattarella ha vissuto il settennato al Quirinale, fra difficoltà, responsabilità e decisioni da prendere ma mai in solitudine-ha tenuto a precisare- forse per rispondere a quanto invece aveva scritto l’Espresso. Ha difeso la Costituzione dalle forzature che non sono mancate ma il settennato di Mattarella è stato più complesso e impegnativo di quanto il saluto augurale di fine anno ha lasciato intendere. Diciamo subito subito che Mattarella ha garantito presso le cancellerie internazionali l’immagine di un’Italia affidabile nonostante i rischi,le incertezze e l’avventurismo del primo governo Conte a trazione leghista e grillina. Mattarella diede il via libera ma dovette subire l’insulto del grillino Di Maio , oggi ministro degli esteri,che lo minacciò di impeachment per il veto messo sulla nomina discutibile di un ministro.
La situazione politica era diventata così liquida che Matteo Salvini , stordito ed esaltato più dai sondaggi che dai mojito , invocò dal Papeete l’attribuzione dei “pieni poteri”. Ne fece inevitabilmente le spese il governo in carica che aprì la crisi per dare vita in pochi giorni al “Conte due” o governo giallorosa con l’ingresso del PD che intravide in Conte il possibile leader di un nuovo centrosinistra. Mattarella diede via libera e officiò il giuramento di presidente e ministri.
Può darsi che il governo “Conte 2” avrebbe potuto avere vita più lunga di quella che ha avuto, al di là degli intrighi di Matteo Renzi, ma l’esplosione della pandemia , i sacrifici imposti al Paese , il protagonismo mediatico di Conte , gelosie di potere, l’economia in ginocchio, la percezione di una rappresentanza parlamentare rissosa quanto inadeguata ad affrontare la situazione, hanno convinto Mattarella della necessità di dare vita ad un governo emergenziale di unità nazionale chiamando a guidarlo Mario Draghi, la personalità più affidabile e accreditata nelle cancellerie occidentali. E’ stata la decisione più saggia e lungimirante del suo settennato, confermata da quanto Draghi e la squadra di governo sono riusciti a fare, in un lasso di tempo decisamente ristretto, sia per contrastare la pandemia sia per rilanciare l’economia con lo sguardo fisso su Bruxelles per le procedure e gli adempimenti del PNRR. Sarà pur vero che è stato Matteo Renzi a far cadere il “Conte 2” ma è concordemente in quota a Mattarella l’intuizione di chiamare Mario Draghi a tirar fuori il Paese dalle secche della pandemia e dall’economia in ginocchio. Comunque in tre anni tre governi.
Sarà pure vero che Mattarella ,con la sua storia umana e politica, è una figura cui si deve rispetto e che anche fisicamente incarna saggezza, equilibrio, responsabilità e, soprattutto, fedeltà alla Costituzione e alla Repubblica. Contano poco gli apprezzamenti espressi dai leader politici a commento del discorso di fine anno. Sono formali, ineludibili, anche ipocriti considerato che, al di là delle assicurazioni date dallo stesso Mattarella, non è definitivamente detto che sia fuori dai giochi. Ma dando per scontato che Mattarella irreversibilmente lasci e torni a vita privata e senza volergli mancare di rispetto o sminuire il suo settennato, qualche osservazione si può fare, poi sarà la storia a dare il giudizio definitivo, quando si conosceranno tutti i “retroscena” che non hanno certamente risparmiato il suo settennato e la ristretta cerchia dei suoi fidati consiglieri. La presidenza della Repubblica è ( o almeno è diventata) tutt’altro che una carica onorifica con funzioni riduttivamente notarli. Basta guardare ai precedenti e ,comunque, sette anni a vigilare sul rispetto della Costituzione qualche iniziativa la richiedono.
La Costituzione, per esempio, riconosce indistintamente a tutti i cittadini uguali diritti per quanto attiene ai servizi essenziali quali la salute, l’istruzione, la mobilità , l’assistenza ai più deboli e, soprattutto, il lavoro che non a caso è richiamato all’articolo uno della Carta. Ma il lavoro nasce e dipende dall’andamento dell’economia e Mattarella non ha fatto sapere se è intervenuto, sui governi, sia pure in chiave di “moral suasion”, per rompere l’isolamento del Sud e ,in nome della coesione sociale, riconoscere al sud i suoi diritti. Nel settennato di Mattarella la vergogna della “spesa storica” ha sottratto alle popolazioni del sud diritti e risorse, dagli asili nido, alla scuola, agli ospedali, ai trasporti, al welfare. Mattarella poteva , Costituzione alla mano, fare di più magari sollecitando l’applicazione del piano compensativo fra aree forti e aree deboli.
Mattarella , oltre che “capo” dello Stato presiede anche il Consiglio Superiore della Magistratura, il massimo organo dell’ordinamento giudiziario, e sette anni non sono bastati per avviare una profonda riforma, nemmeno dopo gli scandali e la caduta d’immagine, fatta salva la miniriforma avviata dalla ministra Cartabia. Lo stesso Mattarella, qualche mese fa, si pronunciava per una riforma del CSM e auspicava che potesse avvenire prima della scadenza del settennato.Nel suo discorso di fine anno non c’è alcun accenno alla questione giustizia e non si tratta di distrazione. Poteva fare di più.
Ma, guardando al Paese che lascia al suo successore, restano irrisolte altre due grandi questioni note ai mercati finanziari e alle cancellerie internazionali e cioè la corruzione pervasiva e l’evasione fiscale, sinergicamente alla base dell’estendersi delle povertà , delle disuguaglianze e delle discriminazioni sociali.Si tratta, grosso modo, di 200 miliardi sottratti alle casse dello Stato ed ai servizi che lo Stato ,con la spesa pubblica, assicura alla collettività. Forse Mattarella poteva fare di più.
Per ultimo, visto che parliamo del custode della Costituzione, la pandemia ha messo in evidenza come la riforma del Titolo Quinto, voluto dal governo D’Alema , ha trasformato le regioni in tanti staterelli degenerati in centri di potere in conflitto con lo Stato, usurpando funzioni e ruoli in un confuso e complice mercimonio con i governi nazionali, sperperando risorse e frammentando questioni nazionali in venti versioni o interpretazioni regionali.La pandemia ha messo in evidenza quanto sia stato distruttivo assegnare il servizio sanitario alle regioni che nella spesa sanitaria hanno dato modo a fameliche bande di potere di saccheggiare risorse con finalità di illeciti arricchimenti e risvolti elettoralistici di cui ci informano quotidianamente le cronache politico-giudiziarie. Il problema si pone e Mattarella lo ha lasciato irrisolto al suo successore.
A meno che-si può pensare- per Mattarella non ci sia all’orizzonte un supplemento di mandato. Lui lo esclude e lo ha ribadito in più occasioni ma l’ingovernabilità della situazione, il parlamento che entra in una fase di stallo, le candidature fatte fuori nel segreto dell’urna, il Paese allo sbando e ,come avvenuto con Napolitano, la supplica a restare in carica fino a scadenza di legislatura potrebbero costringerlo. Non è fantapolitica, i senatori del M5Stelle, probabilmente anticipando altri, hanno politicamente già formalizzato la richiesta. Nel caso, Presidente, si ricordi che oltre al pubblico della Scala che l’ha ripetutamente applaudita ,chiedendo il bis, c’è un’altra Italia maggioritaria che non è quella della Scala e che ha fiducia in lei.