CI SONO D’ALEMA E BETTINI, MANDARINI DELLA SINISTRA CON ASCENDENZE PCI, DIETRO LE PERFORMANCE ELETTORALI DI GIUSEPPE CONTE. D’ALEMA DICHIARA DI AVER VOTATO 5STELLE, DI RITENERE SUPERATO IL RIFORMISMO E SOSTIENE L’ALLEANZA PD-5STELLE. COL SUPPORTO DEI CANDIDATI A LUI FEDELISSIMI, INFILTRATI NELLE LISTE DEL PD, PUNTEREBBE A VINCERE IL CONGRESSO.
estratto da ilgiornale.it a firma di Laura Cesaretti
Può apparire surreale, nel 2022. Eppure c’è il rischio che a vincere il congresso del Pd (se e quando ci sarà) sia Massimo D’Alema. Non che a Baffino importi nulla del Pd: in questi giorni, l’ex premier coi baffi dice agli amici, tutto contento, che il 25 settembre si è ben guardato dal votare il partito che ha messo in lista e regalato posti ai suoi sottopancia di Articolo 1, il micro-partito di Speranza e Bersani: «Chi ho votato? Cinque Stelle». Del resto Giuseppe Conte è l’unico che ancora gli chiede consiglio e si fa indirizzare da lui sulle scelte fondamentali: dall’adesione alla Via della Seta alla nomina di Domenico Arcuri e i rifornimenti di mascherine e respiratori cinesi fino, oggi, alla linea pro-Putin mascherata da pacifismo. E c’è sempre lo zampino di D’Alema dietro l’appello di Rosy Bindi e di altri perchè il Pd si sciolga e confluisca nel movimento peronista guidato da Giuseppe Conte. E però nel Pd, ancora frastornato dalla botta elettorale, sta emergendo un surreale dibattito secondo cui la questione delle alleanze (ossia dell’accettare l’abbraccio mortale di Giuseppe Conte, consegnandogli la leadership del centrosinistra) è prioritaria, e finchè questo non sarà chiarito è meglio tenere il segretario Enrico Letta al suo posto e congelare la discussione sui nomi dei possibili successori. Rinviando il congresso a data da destinarsi. A spingere in questa direzione sono tutti i capicorrente che vogliono bloccare l’ascesa dell’emiliano Stefano Bonaccini, visto come un pericoloso «riformista» para-renziano, inviso ai grillini (che non ha voluto nella sua coalizione) e con pericolose velleità da «rottamatore» dei gruppi di potere interni che finora hanno governato il partito. Da Dario Franceschini a Andrea Orlando, da Giuseppe Provenzano a Nicola Zingaretti: la spinta per congelare la situazione e far bruciare l’unico candidato già in campo è forte. Lo spiega il filo-grillino (e filo-dalemiano) Francesco Boccia: prima si decidono le alleanze, poi i nomi per la segreteria, perché «non possiamo produrre cavalli che partono senza sapere dove si sta andando. Bisogna evitare che ci siano candidati che dicono che ci si può alleare con tutti». La meta deve essere Conte. E quindi meglio prender tempo, costringere Bonaccini alla rinuncia e cercare un nome alternativo che garantisca la permanenza del gruppo dirigente e la deriva filo-Cinque Stelle. «Quelli che ci hanno portato a sbattere inseguendo Conte, ora usano il fatto che siamo andati a sbattere per dire che avevano ragione loro e che bisogna andare con Conte», chiosa il siciliano Fausto Raciti.