BERLUSCONI, INSOLITAMENTE SENZA CRAVATTA, TORNA AL SENATO DOPO LA VICENDA GIUDIZIARIA CHE, PER LA LEGGE SEVERINO, LO PORTO’ A LASCIARE LO SCRANNO SENATORIALE. SALUTATO CALOROSAMENTE DAI SUOI IL PENSIERO TORNA A QUELLA VICENDA CHE LO UMILIO’ PROFONDAMENTE.
articolo di Ugo Magri per “La Stampa”
Tutti in piedi per un caldo, interminabile applauso. Così i senatori di Forza Italia e dell’intero centrodestra si preparano ad acclamare Silvio Berlusconi quando stamane farà il suo ingresso nell’emiciclo di Palazzo Madama. Dopodiché l’ex premier andrà a sedersi nel posto che gli verrà assegnato e, spentasi l’esternazione d’affetto, soffocato il clap-clap rivolto all’anziano patriarca, del grande rientro in Parlamento dopo nove anni di esilio lui per primo non vorrà più occuparsi. Capitolo chiuso per due ottime ragioni. Anzitutto perché c’è dell’altro, in questo momento, che gli preme di più, che lo inquieta e l’offende guastandogli la festa del ritorno in pompa magna; cioè il modo in cui Meloni lo sta trattando, ovvero lui ritiene di venire trattato nella giostra delle poltrone. Berlusconi pensava di aver vinto le elezioni grazie a un risultato tale da renderlo imprescindibile perlomeno quanto Salvini, dunque di poter decidere chi premiare tra i tanti aspiranti di Forza Italia, quali tra loro spedire al governo senza farselo dire da Giorgia, senza che quella gli chiedesse delle rose di nomi per poi cogliere fior da fiore. Il Cav si sarebbe atteso che Licia Ronzulli, da lui designata per qualche prestigioso incarico, non fosse scartata con sfoggio di arroganza; insomma, Silvio immaginava un inizio completamente diverso di questa XIX legislatura, in cui gli fosse riconosciuto non già il diritto a sedere in Parlamento, figurarsi, bensì a giocare un ruolo all’altezza della considerazione (particolarmente elevata) che il personaggio nutre nei confronti di se stesso. Qui sono concentrati, oggi, i suoi sentimenti. Di tutto il contorno gl’importa meno. A ben guardare, c’è un altro motivo che impedisce a Berlusconi di vivere questo 13 ottobre 2022 come un giorno speciale e di cerchiarlo sul calendario provandone qualche forma di orgoglio: è l’epilogo di una vicenda che, quando ci pensa, ancora lo fa soffrire e in fondo mortifica il suo ego. Sì, certo: rimettere piede in quella stessa aula da dove gli avversari l’avevano cacciato il 27 novembre 2013 in seguito alla condanna per frode fiscale, applicando con severità implacabile la legge Severino, farà provare al Cavaliere il gusto della rivalsa. Almeno per qualche attimo stamane gli occhi saranno tutti per lui; e nel vederlo di nuovo in aula qualcuno, perfino tra i nemici, si chiederà ammirato quale possa essere il segreto del Cavaliere, la misteriosa formula della sua incredibile resilienza, e cosa ne renda possibile l’eterno ritorno in questo caso a 86 anni suonati. Ma Berlusconi, assicura chi ne conosce la psicologia, se potesse farebbe volentieri a meno di queste celebrazioni, in quanto appunto gli rammentano il punto più infimo della carriera, gli fanno indirettamente rivivere l’umiliante condizione di indagato, di reo costretto a scontare la pena nei servizi sociali, di pregiudicato indegno di rappresentare il popolo. Sebbene si fosse proclamato innocente e avesse vissuto quell’espulsione quale somma ingiustizia, decisa a suo dire da un «plotone d’esecuzione», indugiarvi nel ricordo non gli suscita alcuna gioia. Anzi. È una pagina – assicurano dalle sue parti – che vorrebbe girare, una brutta parentesi da chiudere in fretta. Tra l’altro, dei suoi “giustizieri” d’allora, cioè di quanti vollero buttarlo fuori dal Senato, praticamente non ne è rimasto in pista nessuno. E l’ultimo che ancora resisteva, l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, da queste elezioni è uscito groggy. Per cui, se lo animasse uno spirito di vendetta, Berlusconi nemmeno saprebbe oggi su chi infierire, a chi indirizzare i suoi sorrisetti. È tutto un mondo diverso da allora. Il 16 novembre 2013, cioè l’ultima volta che s’ era recato a Palazzo Madama, era stato accolto da un coro di «buffone buffone», cosicché aveva quasi rincorso i contestatori sbraitando «vergognatevi, siete dei poveri stupidi ignoranti». Ieri mattina invece scendendo dalla macchina, prima di essere accolto con un abbraccio filiale da Anna Maria Bernini, ad attenderlo solo una folla di turisti stranieri curiosi. Non portava la cravatta che, al Senato, è un obbligo per tutti; ma all’ingresso nessuno dei commessi gliel’ha fatto notare. Fosse soltanto per l’età veneranda, ormai gli si perdona tutto.