DEVE ESSERE STATA DURA PER SALVINI OSSERVARE UN RIGOROSO SILENZIO MENTRE GIORGIA MELONI GLI ASSEGNAVA I MINISTERI CHE GLI FACEVANO COMODO DOPO LA RINUNCIA AL VIMINALE. INCASSATI I MINISTERI HA RIPRESO AD AGITARE IL QUADRO POLITICO CON MIGRANTI, PORTI ED ECONOMIA. UN PROTAGONISMO E UNA RICERCA CONTINUA DI VISIBILITÀ CHE NON FAVORISCE IL PROGRAMMA DELLA MELONI.
Articolo di Federico Capurso e Francesco Moscatelli per “la Stampa”
La premier Giorgia Meloni è impegnata a scrivere il discorso con cui oggi si presenterà alla Camera per chiedere la fiducia, il vice premier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini si prende la scena. Come se, in un lunedì stranamente frenetico e affastellato di appuntamenti, il segretario della Lega volesse in qualche modo dettare la sua agenda al governo. O almeno provarci. La giornata comincia con un colloquio con l’ammiraglio Nicola Carlone, comandante generale della Guardia costiera: un modo per dire chiaro e tondo a Meloni che non intende lasciare la delega ai porti nelle mani del ministro del Sud e del Mare, Nello Musumeci (a cui dovrebbe andare un compito di mero coordinamento, senza poteri decisionali). Inizia così ad attrezzarsi ripercorrendo la strada tracciata ai tempi del Viminale: il fidatissimo Edoardo Rixi al suo fianco, da viceministro, che gestisca i dossier più delicati, e un capo di gabinetto esperto della macchina ministeriale come il magistrato Alfredo Storto, che aveva già svolto lo stesso ruolo ai tempi di Danilo Toninelli. Formula già rodata, che gli permetterà di affrontare con più libertà una nuova e lunga campagna elettorale. Lui a guidare le Capitanerie di porto e Matteo Piantedosi all’Interno con cui giocare di sponda. Anche se una fonte interna al ministero delle Infrastrutture ricorda come Piantedosi, quando era capo di gabinetto di Salvini nel 2018, se da una parte seguiva «sempre con grande diligenza» la linea decisa dal ministro, dall’altra «dava l’impressione di non condividere fino in fondo gli eccessi che nascevano dalla soluzione dei “porti chiusi”. Spesso lo vedevamo sbuffare». Questa volta, da ministro, le sue eventuali perplessità avrebbero un peso ben diverso. Ma Salvini ha anche chiara la divisione degli oneri: «Non è pensabile che le navi delle Ong di qualunque Paese arrivino sempre e solo in Italia. Se c’è una nave norvegese si fa un colpo di telefono in Norvegia, se c’è una nave tedesca si fa un colpo di telefono a Berlino». E non è certo lui, da ministro dei Trasporti, a dover chiamare Berlino. Semmai, sarà responsabilità della presidente del Consiglio e, nel caso, della Farnesina. L’assalto di Salvini all’agenda di governo non si ferma alla questione migranti. Dopo aver incontrato l’ammiraglio Carlone, convoca gli “economisti” della Lega (il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, ma anche Alberto Bagnai, Massimo Bitonci, Claudio Borghi, Alberto Gusmeroli, Claudio Durigon, Federico Freni e Armando Siri) per provare a tradurre gli slogan della campagna elettorale del Carroccio in misure di governo. Il risultato lo presenta lo stesso Salvini intervistato da Bruno Vespa, mettendo più di un’ipoteca sui capitoli di spesa della finanziaria: «Nella prossima legge di Bilancio almeno un inizio di avvio di quota 41, estensione della flat tax e rottamazione delle cartelle esattoriali dovranno esserci». Un incontro «preparatorio», spiega Borghi, «perché vogliamo arrivare al tavolo con gli alleati con i dati giusti per evitare che qualcuno alzi il ditino e dica che non si può fare questo o quello. Ecco perché stiamo raccogliendo tutti i numeri». Nel mirino c’è innanzitutto l'”odiata” riforma delle pensioni, sulla quale Salvini è già costretto a fare un passo indietro rispetto alla campagna elettorale, quando diceva «Quota 41 per tutti». Oggi è già diventato «quasi tutti». La Lega sta infatti studiando «diversi modelli – dice a Porta a porta -, simulando l’avvio di quota 41 con 61 o 62 anni di età minima senza penalizzazioni, come opzione». D’altronde, senza una soglia minima di età fissata a 61 anni, la misura costerebbe 5 miliardi il primo anno, per arrivare complessivamente a oltre 70 miliardi in dieci anni. E le risorse a disposizione, in questo momento, sono poche. «Superare la legge Fornero non si potrà del tutto – spiega un altro partecipante al vertice -, al massimo riusciremo ad ammorbidirne gli effetti. A partire dallo scalone del 1 gennaio». Giorgetti è rimasto in silenzio per gran parte della riunione. Mentre il leader della Lega, durante l’incontro, «si è mostrato molto più frenato – raccontano – rispetto all’accelerazione offerta in tv». Tanto è vero che è magicamente sparito l’argomento «scostamento di bilancio» per fronteggiare i rincari delle bollette. Dunque, a quale Salvini credere? Di fronte alle telecamere l’asticella si alza fino a toccare il Ponte sullo Stretto di Messina: «Far partire il cantiere è uno dei miei obiettivi per questi cinque anni. Adesso costa di più non farlo che farlo, come è stato sulla Tav. Sarebbe un’immagine eccezionale dell’Italia nel mondo e darebbe lavoro a 100 mila persone». Poi prova ad affrontare di petto le elezioni regionali del 2023, altro frutto della discordia con gli alleati: «Il centrodestra avrà un unico candidato alle regionali in Lombardia, nel Lazio, in Friuli, in Molise. Per me Fontana è stato un ottimo governatore e squadra che vince non si cambia». E la sfidante Letizia Moratti? Magari a guidare «la Fondazione Milano-Cortina, per le Olimpiadi invernali del 2026: sarebbe una garanzia». Anche questo problema, risolto: argomento chiuso. Almeno fino a quando non lo riaprirà la leader del centrodestra e presidente del Consiglio, Meloni.