RASSEGNA STAMPA

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PER MASSIMO CACCIARI IL DISCORSO-MANIFESTO DELLA MELONI NON HA CONNOTAZIONI DI DESTRA. CACCIARI RITIENE CHE LA MELONI SIA CONSAPEVOLE DELLE DIFFICOLTÀ CHE L’ATTENDONO E CHE NON HA ALTERNATIVE ALLA STRADA TRACCIATA DA DRAGHI. UN DISCORSO-PROGRAMMA MIRATO SOPRATTUTTO A RASSICURARE CHE NON CI SARANNO STRAVOLGIMENTI DEL QUADRO POLITICO. QUANTO ALLA SINISTRA HA TUTTO IL TEMPO PER RIFLETTERE SUGLI ERRORI COMMESSI.

Articolo di Paolo Griseri per “la Stampa”

Un discorso identitario? «Macché, non mi è sembrato proprio. Quello di Giorgia Meloni è stato, anzi, un discorso prudente che ha messo in fila la lista delle cose che ogni governo precedente avrebbe dovuto fare, che qualche volta ha promesso di fare, e che nessuno è mai riuscito a realizzare». Massimo Cacciari giudica così il discorso di insediamento della prima donna premier in Italia.    Professore, si immaginava che la prima donna premier della storia italiana avrebbe avuto questa biografia?  «Mi immaginavo che Giorgia Meloni avrebbe molto insistito su questo punto ed è logico che lo abbia fatto. È giustamente orgogliosa di essere arrivata dove altre donne prima di lei non erano riuscite ad arrivare e del significato simbolico di questa svolta».    Però, diciamo, dopo aver accusato la destra di essere rimasta ferma al patriarcato e a una visione tradizionale della società, la parabola di Meloni non è una sorpresa per la sinistra?  «Non attribuirei a questo fatto un significato straordinario. È una leadership, quella di Meloni, che si è consolidata in un piccolo partito per anni relegato all’opposizione e che è diventata leadership nazionale per il dissolversi del sistema politico precedente».    Un caso?  «No. Diciamo il frutto di una serie di circostanze».    Ma a sinistra ci sarà chi rosica, no?  «Beh, ricorda? Tra i tanti problemucci che ha il principale partito della sinistra, il Pd, c’è anche quello di non essere riuscito a indicare una donna nella composizione del governo Draghi. Ci fu una rivolta. Era il febbraio dello scorso anno. È un fatto che anche su questo punto il centrosinistra è rimasto fermo al palo».    Veniamo ai punti del discorso alle Camere. Che effetto le ha fatto ascoltare il primo discorso di insediamento di un governo di destra radicale in Italia?  «Non è stato un discorso di destra. Mi è sembrato un discorso che voleva rassicurare tutti, in Italia come in Europa. Posto che anche Meloni ha capito di avere la strada in parte segnata e che con il nostro livello di debito non possiamo certo metterci a fare scelte opposte a quelle che ci suggerisce l’Europa».    In questi giorni sono tornati però alcuni temi tipici della destra come il semipresidenzialismo. O proposte che fanno imbufalire la sinistra come il Ponte sullo Stretto o il ritorno al nucleare…  «Ma non si tratta di proposte di destra in senso ideologico. Non lo è il semipresidenzialismo che è una proposta di riforma su cui si discute da tempo nei due schieramenti tradizionali. Non lo è il nucleare. Io stesso sono stato favorevolissimo al nucleare. Oggi la considererei una scelta folle per i costi che comporta. Ma non per una questione ideologica. Altrettanto si può dire della questione del Ponte».    Non sono di destra neppure le battaglie contro la legge sull’aborto?  «Ecco su questo punto Meloni e il suo governo devono stare molto attenti. Nel discorso d’insediamento la premier è stata molto prudente. E ha ragione».    Che cosa potrebbe accadere se attaccasse la legge sull’aborto?  «Ci sarebbe la rivolta. L’Italia non accetta di veder limitati i diritti civili e non sopporterebbe arretramenti su questo punto. Non credo che sarebbe prudente infilarsi in quel vespaio».    E le promesse della campagna elettorale?  «Chiacchiere identitarie per soddisfare la parte più reazionaria dell’elettorato».    Si dice ma non si fa?  «Non credo che toccheranno nulla su quel versante».    Eppure Gasparri ha già presentato una proposta per riconoscere l’embrione come soggetto giuridico…  «Se vogliono impalarsi da soli possono certamente seguire Gasparri. Ma non penso che saranno tanto sprovveduti. Hanno di fronte mesi terribili e una tenaglia inedita di recessione e inflazione che in un Paese indebitato come il nostro può portare a conseguenze drammatiche sul piano sociale ed economico. Quella è la vera sfida che ha di fronte Meloni».    Queste difficoltà spiegano la sua prudenza nel discorso di insediamento? «Certamente. Lei stessa ha premesso che non potrà fare miracoli. Anche perché è chiamata ad affrontare in una situazione di emergenza problemi che non sono stati risolti in trent’anni dai governi precedenti. Per farlo avrà invece bisogno di evitare il più possibili conflitti nella società e con l’Europa».    Per questo ha cercato di smussare gli angoli con Bruxelles?  «Con Bruxelles sarà necessario trovare un’intesa. E anche con gli altri partner europei. Non aiutano all’estero atteggiamenti che hanno fatto indignare anche me come quelli dei vertici dello stato francese che annunciano di voler vigilare sulla democrazia italiana. Sull’Italia vigilano gli italiani».    In teoria sui governi dovrebbero vigilare le opposizioni..  «Ah certo. In teoria. Io credo che per un anno l’opposizione di centrosinistra non farà nulla. Andrà avanti in ordine sparso, ognuno marcando il suo orticello in attesa di capire come si conclude la crisi del Pd».    Macerie lasciate dalla sconfitta elettorale?  «Direi conseguenze di una vera e propria resa. Non si può andare al voto dicendo agli elettori che se si vince non si sa con chi ci si alleerà».    Oltre ad aver rotto il tetto di cristallo Meloni è tornata alla guida di un governo politico. Una novità?  «Non una novità. La fine di un’anomalia. Da un decennio eravamo guidati da personaggi illustri, scelti dal presidente della Repubblica di fronte all’emergenza e all’incapacità dei partiti di farvi fronte. Ma per tutti gli anni Novanta abbiamo avuto governi politici: Prodi e Berlusconi hanno guidato coalizioni politiche».    È meglio un governo politico?  «In democrazia è di gran lunga preferibile un governo politico».    Il governo Meloni durerà cinque anni o, come prevede Calenda, non andrà oltre i sei mesi?  «Dipende. Cinque anni la vedo difficile. Ma nemmeno sei mesi. A meno che non commettano l’errore di inseguire ricette populiste in economia che ci fanno sballare i conti e ci mettono ai margini in Europa. Allora sì che si verificherebbe lo scenario immaginato da Calenda: il presidente della Repubblica che cerca un nuovo ingegnere per rimettere insieme i cocci del sistema sociale, una specie di avatar di Draghi pronto a intervenire».    C’è il rischio che il sistema sociale vada in pezzi?  «Il sistema Italia è un sistema corrotto. Non solo e non tanto perché ci sono i corrotti ma perché è proprio l’architettura sociale ad essere in crisi, ad aver bisogno di una cura profonda».    Dopo aver ascoltato il discorso di insediamento che animale politico è Giorgia Meloni?  «È una politica che si è fatta da sé, dalla gavetta. Una persona decisa, di grande volontà come se ne vedono poche. Per certi aspetti la sua vicenda politica mi ricorda quella di Matteo Renzi. Personaggi che arrivano ai vertici della politica per capacità personale e non per cooptazione o per meriti di famiglia».