RASSEGNA STAMPA

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È ANDATA COME ERA FACILE PREVEDERE. ARRIVATA A BRUXELLES GIORGIA MELONI SI È SUBITO CONVINTA CHE NON ERA IL CASO DI INSISTERE COL POS A 60 EURO. CI HA PENSATO IL COMMISSARIO GENTILONI A SPIEGARLO A RAFFAELE FITTO CONSIGLIERE FIDATO DELLA MELONI PER IL PNRR. BRUXELLES NON È MONTECITORIO DOVE, SE DOVESSERO MANCARE I VOTI, C’È SEMPRE QUALCUNO FELICE DI OFFRIRSI COME PER L’ ELEZIONE DI LA RUSSA A PRESIDENTE DEL SENATO. IL POS A 60 EURO È INCOMPATIBILE CON LA RIFORMA FISCALE CHE PRETENDE BRUXELLES. MA IL POS È UN FALSO PROBLEMA USATO PER ONORARE IN QUALCHE MODO LA CAMBIALE ELETTORALE SOTTOSCRITTA COL FORMICAIO DI PICCOLI E MENO PICCOLI ESERCENTI CHE NOTORIAMENTE RILASCIANO SEMPRE LO SCONTRINO, NON SI SOTTRAGGONO ALL’IVA E PAGANO LE TASSE SENZA ASPETTARE CONDONI E ROTTAMAZIONI. GLI È ANDATA MALE. SI FA PER DIRE PERCHÉ COL “CAROVITA” E LA GUERRA IN UCRAINA COSTA TUTTO DI PIÙ ANCHE QUANDO LA GUERRA NON HA NIENTE A CHE FARE CON GLI AUMENTI MESSI IN ATTO. MA NON È LA PRIMA VOLTA. ANCHE PER QUEST’ANNO L’ASSALTO ALLA “TREDICESIMA” È ANDATO A SEGNO…

Articolo di Alessandro Barbera e Ilario Lombardo per “la Stampa”

Se non fosse per la solennità del luogo, è apparso tale e quale al set del Secondo tragico Fantozzi. Uno dei testimoni sotto anonimato lo racconta ridendo poco dopo il match: «Eravamo riuniti con tutti i cellulari o quasi accesi su Francia-Argentina, come durante la proiezione della corazzata Potemkin». Roma, ieri. L’alibi per distrarre i deputati della commissione Bilancio l’offre il governo su un piatto d’argento. Il clima fra i parlamentari è pessimo: tutti sanno che il tempo per la discussione non c’è, e per questo si attendono gli emendamenti decisi a Palazzo Chigi. La difficoltà a definire le modifiche alla Finanziaria è testimoniata dalle voci sul presunto arrivo a Montecitorio di Giancarlo Giorgetti. Viene prima annunciato per le 18.30, poi scivola alle 21.30. All’ora di cena in Commissione appare anche Giuseppe Conte, poi tutte le opposizioni abbandonano l’aula per protesta. La maggioranza tarda a trovare un accordo al suo interno perché condizionata da una trattativa parallela, molto più delicata per il destino di Giorgia Meloni: quella con Bruxelles. Per la premier è un problema di sostanza politica prima che di forma. L’argomento più controverso, sul quale finge resistenza fino all’ultimo, è se ingranare fino in fondo la retromarcia sul limite all’uso del Pos per gli esercenti: si tornerà alla norma Draghi che vietava il rifiuto all’uso della moneta elettronica. Nel frattempo di marce indietro ne vengono decise un altro paio: sulla rottamazione delle cartelle esattoriali fino a mille euro (sono escluse le multe dei Comuni) e sulla depenalizzazione dei reati fiscali. Il viceministro Maurizio Leo, l’uomo a cui Meloni ha affidato il ministero delle Finanze, aveva pronto un emendamento che Giorgetti ha rimesso nel cassetto. Insomma, al netto dei toni roboanti, le correzioni di rotta della premier sono sempre più evidenti nel timore di perdere il sostegno della Commissione su molti altri dossier, a partire dalle modifiche chieste al piano nazionale delle riforme. La trattativa si è consumata sottotraccia nell’ultima settimana, e si è resa necessaria per ottenere un giudizio almeno parzialmente positivo alla legge di Bilancio. Giovedì scorso, mentre Meloni partecipa al vertice dei leader, il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto si chiude in una stanza con il commissario italiano all’Economia Paolo Gentiloni. Gli spiega che la misura sull’uso dei Pos, se necessaria, sarà ritirata. Gentiloni non ci gira intorno: «Premesso lo stupore per questa crociata, rischiate di compromettere uno degli impegni sottoscritti sul Pnrr». Già a fine novembre fonti di Palazzo Chigi avevano assicurato che se il rischio fosse stato quello di perdere i soldi del Piano nazionale di ripresa, non ci sarebbero state resistenze. Meloni ci prova comunque. Chiede di verificare le reazioni di Bruxelles, lascia che il dibattito sul contante e il bancomat si alimenti, e tira la corda fino all’ultimo prima di cedere. Gli interlocutori europei ne erano consapevoli. Anche il sì alla manovra di bilancio – un via libera condizionato e colmo di rilievi proprio sulla lotta all’evasione – è comunque subordinato all’impegno del governo a tornare indietro dai suoi proclami. In ossequio al rispetto delle osservazioni di Bruxelles l’Italia ha ottenuto e otterrà molte concessioni: il sì al rifinanziamento del credito d’imposta per il Sud (votato ieri con rara unanimità in Parlamento), il sì a nove miliardi aggiuntivi per il Recovery plan, e più di un occhio chiuso sui ritardi dei cantieri finanziati coi sussidi comunitari. Sullo sfondo della trattativa resta ancora un grosso ostacolo: la mancata ratifica del Parlamento italiano alla riforma del fondo Salva-Stati. Molti però nei palazzi scommettono che la capitolazione di Meloni è solo questione di tempo.