LA STANDING OVATION CHE HA ACCOMPAGNATO, DA PARTE DEL CENTRODESTRA, LA RELAZIONE TENUTA DA PIANTEDOSI IN PARLAMENTO SUL NAUFRAGIO DI CUTRO, RIVELA LA PREOCCUPAZIONE DELLA MAGGIORANZA CHE LA SITUAZIONE POSSA SFUGGIRE DI MANO E SIA LA TENUTA DEL GOVERNO A RIMETTERCI. ECCO PERCHÉ, PUR VOLENDO, PIANTEDOSI NON POTEVA DARE LE RISPOSTE CHE PORTANO ALLA VERITÀ. NON È LA SUA SORTE POLITICA CHE PREOCCUPA IN CASO DI DIMISSIONI MA L’INEVITABILE EFFETTO DI TRASCINAMENTO CHE AVREBBE SUL MINISTERO DI MATTEO SALVINI FINO AD OGGI TENUTO FUORI. BISOGNA RICONOSCERE CHE SE PIANTEDOSI A CUTRO C’È STATO NELL’IMMEDIATEZZA DELLA TRAGEDIA ED HA AFFRONTATO UNA CONFERENZA STAMPA, MATTEO SALVINI SI È TENUTO ALLA LARGA DA OGNI COINVOLGIMENTO. QUESTA VOLTA LA SUA INCLINAZIONE COMPULSIVA A CERCARE TACCUINI E TELECAMERE, PER NON DIRE DELLE ESTERNAZIONI SUI SOCIAL, NON L’HANNO VISTO ATTIVO. SI È VISIBILMENTE DEFILATO COME SE LUI, IN QUANTO MINISTRO DELLE GUARDIE COSTIERE PER COMPETENZA, CON IL NAUFRAGIO E LE VITTIME NON AVESSE NULLA A CHE FARE ED HA LASCIATO PIANTEDOSI SOLO AD AFFRONTARE LA TEMPESTA POLITICA. LA MELONI, SICCOME LA POLITICA NON FA SCONTI MA GENERA COMPROMESSI, PER LA TENUTA DELLA MAGGIORANZA, HA DOVUTO PIEGARSI ALLE RAGIONI DI SALVINI E DI PIANTEDOSI.
1 – “IL PRIMO SOS ARRIVÒ SOLO ALLE 4”. PIANTEDOSI RISCRIVE I FATTI DI CUTRO
Estratto dell’articolo di Alessandra Ziniti per “la Repubblica”
Nove giorni, errori macroscopici, affermazioni false e nessuna risposta alla domanda delle domande: chi, la sera di sabato 25 febbraio, ha deciso che ad uscire in mare per controllare quel barcone segnalato da un aereo di Frontex nel mare Ionio dovessero essere le motovedette della Finanza e non i mezzi specializzati della Guardia costiera? Chi ha deciso che, per quella che era in tutta evidenza una imbarcazione che trasportava migranti, doveva essere avviata una operazione di polizia e non di soccorso? «Falso e offensivo che i soccorsi sono stati condizionati o addirittura impediti dal governo». Prima alla Camera, poi al Senato, strappando una standing ovation della maggioranza che stride con la tragicità della vicenda, Matteo Piantedosi non chiarisce assolutamente nulla sulla catena di comando che, nelle sei ore antecedenti al naufragio di Cutro, avrebbe potuto cambiare le sorti di quel barcone lasciato nel mare in tempesta con il suo carico di 180 vite, più di metà delle quali andate perdute. […]Addirittura, mostrando di ignorare persino la storia dei soccorsi in mare, fa la conta di 4.745 morti in mare «solo nel 2016, anno in cui era ancora operante l’operazione navale umanitaria Mare Nostrum avviata all’indomani del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 dispiegando un possente dispositivo aereonavale e con la presenza di navi Ong». Peccato che la missione Mare Nostrum nel 2016 era terminata ormai da due anni. Improponibile l’autodifesa sul mancato intervento dei mezzi della Guardia Costiera: «L’attivazione di un soccorso – la tesi di Piantedosi – non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza. Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo Sar. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia. È esattamente quanto avvenuto nel caso in questione». Ignora evidentemente il ministro dell’Interno non solo le regole del Piano Sar in vigore, ma soprattutto quelle che da anni sono le indiscusse linee guida della Guardia costiera, sancite da innumerevoli sentenze della magistratura: e cioè che tutte le imbarcazioni che trasportano migranti «devono essere considerate subito in distress, in ragione del fatto che sono sovraccariche, inadeguate a percorrere la traversata, prive di strumentazione e di personale competente». E il caicco avvistato il 25 febbraio alle 22.26 dall’aereo di Frontex sicuramente come barca di migranti era stata classificata dalle sale operative informate, diversamente non sarebbe stata disposta una operazione di polizia nei confronti di un’imbarcazione sulla quale – pur navigando senza evidenti emergenze – una rilevazione termica segnalava la presenza di numerose persone sottobordo e di un satellitare che interloquiva con una utenza turca. […] Come se quel mare grosso che costringe la Finanza al rientro in porto non fosse un elemento sufficiente di rischio per un barcone di certo meno attrezzato di un mezzo militare. […]
2 – UN MINISTRO RETICENTE
Estratto dell’articolo di Annalisa Cuzzocrea per “La Stampa”
[…] Quella ricostruzione però è piena di omissioni e inesattezze. Soprattutto, non risponde alla domanda più importante: perché la Guardia costiera non è intervenuta sapendo che c’era un caicco carico di migranti sulle coste calabresi con il mare forza sei? Il ministro elude, confonde, cita cose inesatte. È soprattutto interessato a indicare un unico colpevole per quanto accaduto (72 morti accertati di cui 28 minori, 80 superstiti e ancora molti dispersi): gli scafisti. […] «L’assetto aereo Frontex che, per primo, ha individuato l’imbarcazione alle ore 22:26 del 25 febbraio a 40 miglia nautiche dall’Italia, non ha rilevato e quindi non ha segnalato una situazione di distress a bordo, limitandosi a evidenziare la presenza di una persona sopra coperta, di possibili altre persone sotto coperta e una buona galleggiabilità dell’imbarcazione», dice Piantedosi. «L’imbarcazione procedeva a velocità regolare, non appariva sovraccarica e non sbandava». Peraltro, non arrivava da lì «nessuna segnalazione di allarme o richiesta di aiuto». Quella richiesta, stando alle parole dello stesso ministro, non poteva arrivare perché gli scafisti erano in possesso di uno strumento capace di inibire le comunicazioni Gps. Ma restiamo a quanto detto su Frontex che non aveva segnalato un distress. «Non sta a noi classificare un evento come “Search and rescue” (di ricerca e soccorso) – ha fatto sapere l’Agenzia europea delle frontiere – secondo le leggi internazionali è responsabilità delle autorità nazionali». Quindi, doveva essere l’Italia a trasformare quella segnalazione – caicco in avvicinamento, rilevazione termica di molte persone a bordo, condizioni del mare in peggioramento – in un evento per il quale doveva intervenire la Guardia costiera. […] Racconta poi che le due motovedette uscite quella notte non sono riuscite ad avvicinarsi alla barca e sono tornate indietro per le cattive condizioni del mare, ma non spiega perché – a quel punto – non siano usciti i mezzi più possenti e adatti alla tempesta della Guardia costiera. Soprattutto non cita mai il report che l’Aeronautica militare aveva inviato alle autorità: il bollettino prevedeva, dalle 18 del 25 febbraio alle 6 del mattino dopo “burrasche sullo Ionio settentrionale”. “Mare molto mosso e in aumento”, fino a forza 7. Non bastava questo, per segnalare un «distress», per usare il linguaggio anglo-burocratico del ministro? Non è forse vero che secondo il disciplinare Sar del 2020 perché scattino le operazioni di ricerca e soccorso basta il riscontro oggettivo di situazioni di pericolo, anche dubbio o eventuale? Insomma, non è forse vero che non serve che qualcuno chiami e dica: «Affoghiamo», perché la Guardia costiera si muova a soccorrere un’imbarcazione che le è stata segnalata in una situazione di pericolo? A queste domande, non polemiche, il ministro non ha dato risposta. Anzi, sembra dire il contrario: «È essenziale chiarire che l’attivazione dell’intero sistema Sar non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza». Ma chi deve farla? Il Piano nazionale di ricerca e soccorso è molto chiaro: «Tutti i soggetti pubblici o privati che abbiano a conoscenza notizie relative a una nave o a una persona in pericolo in mare devono darne immediata comunicazione all’organizzazione Sar marittima». Non lo ha fatto il centro di coordinamento dopo la segnalazione Frontex? Bene, doveva farlo la Guardia di Finanza. E invece, il soccorso in mare non è scattato. […]