C’ERA MOLTA ATTESA PER IL PRIMO CONFRONTO IN AULA FRA LA MELONI E LA SCHLEIN. L’OCCASIONE ERA DATA DAL “QUESTION TIME” ALLA CAMERA, QUANDO I PARLAMENTARI ILLUSTRANO, RIVOLTI AL GOVERNO, LE LORO INTERROGAZIONI. L’ATTESA È ANDATA DELUSA PERCHÉ NON C’È STATO NESSUNO SCONTRO VERBALE MA BATTUTE DI ORDINARIA POLEMICA POLITICA. LA MELONI A DIRE CHE SE IL LAVORO È MALPAGATO O SOTTOPAGATO È COLPA DEI GOVERNI A PARTECIPAZIONE PD, LA SCHLEIN A RINTUZZARE CHE ORA È IL GOVERNO A DOVER DARE RISPOSTE E SOLUZIONI. COME DIRE: SIGNORA, LA PACCHIA DI STARE ALL’OPPOSIZIONE È FINITA, ORA DEVE GOVERNARE.
Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”
L’ incarico: raccontare ogni dettaglio di questo primo incontro tra Giorgia ed Elly. (…)La premier: in tailleur nero (o di un blu talmente scuro da apparire nerastro). La segretaria del Pd: con giacca rosa pallido e camicia fantasia. E, già qui, gente brava tirerebbe giù ottanta righe. Ma adesso Elly è in piedi e, subito, attacca Giorgia sulla necessità di introdurre il salario minimo. La chiama: «Signora presidente…» (è noto che la Meloni chiede invece di essere definita «il premier», o «il presidente»). Elly: voce meno spezzata del solito (sensazione: con un po’ di rodaggio può migliorare ancora), argomenti lunari per i dem degli ultimi anni («Sotto una certa soglia, non si può chiamare lavoro: ma sfruttamento!»), dito indice puntato verso Giorgia. Strategia evidente: sono venuta qui per te, parlo con te, guardami mentre parlo con te. (…) Difficile dire se lo viva come un duello: di certo questa segretaria di 37 anni — determinata, libera, di puro fascino — Giorgia l’ha vista arrivare fin troppo bene; e sa certamente valutarne la travolgente freschezza (poi, tra qualche mese, vedremo se alla tramontana di novità, avrà saputo aggiungere anche solidità politica). Comunque: il giochino del question time prevede, per la premier, una sola risposta (mentre Elly avrà diritto alla controreplica). Ma tanto Giorgia sa tutto, ha visto tutto (…)E che, oggi, adesso, ha appena una manciata di minuti a disposizione per la replica. E così: snobba la sua avversaria, definendola «gli interroganti». Poi, prima picchia duro sulle opposizioni («Chi ha governato finora ha reso più poveri gli italiani»), quindi propone l’estensione della contrattazione collettiva. Con i deputati che l’hanno incalzata poco fa, è stata pacata, con botte di sarcasmo. Ora la voce gli va su. Scandisce le parole. Quanti comizi avrà fatto in vita sua? È una richiesta precisa: dai banchi della maggioranza, puntuale, rotola una standing ovation. Calma. Sentiamoci Elly (che l’ha ascoltata tamburellando le dita della mano destra). Sensazione confermata: impara in fretta. «Signora presidente, le sue risposte non ci soddisfano!». La premier ascolta con una vaga aria di sufficienza, il mento appoggiato sulla mano, mezza parola a Matteo Salvini, che le siede accanto, e che annuisce (è sempre emozionante vedere Salvini annuire alla Meloni: un po’ meno vedere il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, bello pacioso, mentre Napoli è in fiamme). Elly prende forza: «Le ricordo che ora sono io all’opposizione, e lei al governo…». Aspettate. Elly dice — esattamente — così: «O-ra-so-no-io-all-oppo-si-zio-ne». Cioè: siamo io e te. Personalizzazione totale dello scontro. Uno schema che, in questi minuti, tutti ci accorgiamo che è già quasi un classico. Ecco: mentre la segretaria del Pd conclude il suo intervento, sugli appunti resta uno scarabocchio, un concetto: mondo nuovo. Perché davvero l’aver visto le due donne più potenti del Paese… (…)C’è una scena, completamente, rivoluzionata (e il primo ad averlo compreso è Giuseppe Conte, il capo dei 5 Stelle: muto, imbambolato, ingrigito, l’uomo con la pochette cammina dentro il suo precoce tramonto).