IL PRESIDENTE DELL’ANCI NONCHÉ SINDACO DI BARI, ANTONIO DECARO, AVEVA LANCIATO CON BUON ANTICIPO L’ALLARME CHE IL SUD SI TROVAVA TECNICAMENTE IMPREPARATO A POTER UTILIZZARE I MILIARDI PREVISTI PER LE REGIONI MERIDIONALI. IL PRESIDENTE MARIO DRAGHI AVEVA LASCIATO INTRAVEDERE LA POSSIBILITÀ DI UNA TASK FORCE DI TECNICI CHE AVREBBE SUPPORTATO I COMUNI IN DIFFICOLTÀ MA, CADUTO IL GOVERNO DRAGHI, NON È ACCADUTO NULLA. ORA C’È IL RISCHIO CONCRETO CHE I MILIARDI DESTINATI AL SUD, SE NON UTILIZZATI PER MANCANZA DI PROGETTI, VENGANO RECUPERATI A LIVELLO NAZIONALE CON ALTRE FINALITÀ E DESTINAZIONE. SI PAGA IL PREZZO DI UN CETO POLITICO INADEGUATO E INCAPACE, SENZA CULTURA DI GOVERNO E DI PROGRAMMAZIONE, PER DI PIÙ PENALIZZATO DA UNA BUROCRAZIA, A TUTTI I LIVELLI, CARENTE DI FORMAZIONE E COMPETENZA, CHE AGGRAVA LA SITUAZIONE. E’ QUESTA LA VERA ED IRRISOLTA “QUESTIONE MERIDIONALE” CURATA CON L’ASSISTENZIALISMO ELETTORALISTICO E LA SPESA CLIENTELARE.
C’È DA SPERARE ED AUSPICARE CHE SIA L’EUROPA A TROVARE IL MODO DI IMPORRE AI GOVERNI ITALIANI IL SUPERAMENTO DEL DIVARIO STORICO NORD-SUD PERCHÉ È L’EUROPA AD AVERNE BISOGNO.
Estratto dell’articolo di Luca Monticelli per “La Stampa”
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è ormai una corsa contro il tempo. I ritardi sui bandi e le opere si accumulano soprattutto nel Mezzogiorno e la via d’uscita individuata dal governo resta quella di spostare alcuni progetti sui fondi Coesione, per avere tre anni di tempo in più per spendere le risorse. Ma le regioni del Meridione temono che i loro programmi vengano scippati a vantaggio di quelli nazionali. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca da giorni accusa il ministro Raffaele Fitto di «voler prendere tutti i soldi del Sud e spalmarli sul piano nazionale, con la scusa che noi non riusciamo a spenderli, e pagare così i costi energetici del Nord». […]Secondo uno studio della Svimez, il 62% dei Comuni del Sud ha giudicato complessa la partecipazione ai bandi del Pnrr, e le opere che procedono a rilento sono quelle fino a un milione di euro. Il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, ha comunicato l’altro giorno che «sono 164 mila i progetti presentati per il Pnrr, di cui 62 mila al Sud, ma solo un terzo ha ricevuto la necessaria validazione». La gran parte degli interventi che potrebbero essere spostati dal Pnrr ai fondi Coesione e sviluppo riguarda la transizione “green” e digitale, le misure a favore del lavoro dei giovani e delle donne, il sostegno alle aree di Taranto (per l’ex Ilva) e del Sulcis (dove produceva l’Alcoa) e gli interventi di rigenerazione urbana nelle sei città metropolitane del Mezzogiorno: Bari, Palermo, Catania, Messina, Reggio Calabria e Cagliari. […]Entri il 31 di questo mese l’Europa si accinge a dire sì alla terza rata del Pnrr da girare all’Italia, dell’importo di 19 miliardi; e la Commissione europea si appresta anche a dare luce verde al piano dell’Italia che ha chiesto di trasferire le opere del Pnrr che non potranno essere completate entro il 2026 – data limite in cui vanno spesi i soldi – sotto l’ombrello della Coesione, le cui risorse possono essere erogate entro il 2029. I fondi della Coesione, infatti, sono quelli del bilancio europeo del 2021-2027, soldi che possono essere spesi fino a due anni dopo la chiusura della programmazione pluriennale economica di Bruxelles. Per giustificare questo allungamento servono però delle «circostanze oggettive» che rendono impossibile la realizzazione dei progetti entro il 2027, come ad esempio la carenza di materie prime. L’altro paletto da considerare è che per utilizzare i fondi della Coesione bisogna cofinanziare gli interventi e mantenere inalterata la ripartizione tra le Regioni. È per questo che le modifiche al Pnrr che il governo presenterà a Bruxelles riguarderanno soprattutto il Meridione. La fetta più grossa della torta della Coesione spetta alle Regioni meno sviluppate: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia che insieme hanno ottenuto per i programmi regionali 2021-2027 quasi 27 miliardi su 48,5. Per fare un esempio, la Campania ha 7 miliardi da spendere, il Piemonte 2,8. Inoltre, spostare i progetti al Sud avrebbe il vantaggio per lo Stato di dover aggiungere meno risorse proprie: il cofinanziamento, infatti, prevede almeno il 15% di fondi nazionali per le regioni meno sviluppate, il 40% per quelle in transizione e il 60% per quelle più sviluppate. Detto così sembra tutto facile, ma la spesa resta il grande problema italiano, tanto che bisogna spendere ancora 20 miliardi ereditati dal precedente bilancio europeo (2014-2020), e per non perderli c’è tempo solo fino al 31 dicembre di quest’anno. […] Le stime della Svimez – l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – sui tempi di realizzazione delle infrastrutture sociali confermano il gap di capacità realizzativa al Sud. Le opere che procedono più a rilento sono quelle con investimenti fino a un milione di euro. I ritardi si accumulano soprattutto nelle fasi iniziali di affidamento dei lavori, rallentate dalle carenze di personale tecnico specializzato. La percentuale di personale under 40 dei Comuni è del 4,8 per cento nel Mezzogiorno (10,2% nel Centro-Nord); e solo il 21,2% dei dipendenti comunali al Sud è laureato (28,9% del Centro-Nord).