(nella foto Arnaldo La Barbera)
Estratto dell’articolo di Salvo Palazzolo per www.repubblica.it
Un testimone racconta che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è stata nascosta a casa dei familiari di Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo al centro di tanti misteri, nel 2002 stroncato da un tumore. È un racconto molto dettagliato quello che hanno vagliato i magistrati della procura di Caltanissetta, sembra che la rivelazione arrivi da una persona vicina alla famiglia La Barbera.
Il mese scorso, sono scattate delle perquisizioni: i carabinieri del Ros, incaricati della delicatissima ricerca, sono arrivati nelle abitazioni della moglie e di una delle figlie del superpoliziotto, fra Roma e Verona. Dell’agenda rossa non c’è traccia, ma gli investigatori del Raggruppamento operativo speciale hanno portato via tanti documenti, appartenuti ad Arnaldo La Barbera, oggi ritenuto il regista della spregiudicata operazione che portò alla creazione del falso pentito Vincenzo Scarantino, il balordo di borgata che per anni ha tenuto lontana la verità sulla strage Borsellino. […] Anni fa era finito sotto inchiesta per furto l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, fotografato il giorno della strage, in via D’Amelio, mentre teneva in mano la borsa del magistrato assassinato […] Il decreto di perquisizione parla di un fotogramma e di nuove testimonianze: Arcangioli avrebbe consegnato la borsa del magistrato a un ispettore di polizia, che rivendicava la titolarità dell’indagine, essendo arrivato prima dei carabinieri. E poco dopo la borsa finì alla squadra mobile, nella stanza del dirigente. Ma ci vollero cinque mesi al sottufficiale per stilare una relazione di servizio: «Non so perché non la scrissi al momento, l’ho fatto successivamente», ha detto il testimone all’ultimo processo per il depistaggio, quello che nei mesi scorsi ha visto imputati a Caltanissetta tre collaboratori di La Barbera per la costruzione del falso pentito Scarantino (uno è stato assolto, per due è scattata la prescrizione, adesso è in corso il processo d’appello). «Rimane il dubbio — hanno proseguito i giudici — se il ritardo in quella relazione sia stata una negligenza nella tecnica investigativa, l’ennesima accertata, o se via sia di più». Per certo, scrive il tribunale di Caltanissetta, «il capo della squadra mobile La Barbera ebbe un comportamento veramente inqualificabile: dapprima disse alla vedova Borsellino che la borsa del marito era andata distrutta e incenerita nella deflagrazione, salvo poi restituirgliela diversi mesi dopo, negando in malo modo l’esistenza di agende rosse». Perché La Barbera, protagonista di tante indagini antimafia, fece tutto ciò? Per la procura favoriva i boss, per il tribunale cercava solo di trovare velocemente dei colpevoli per la strage di via d’Amelio, non importa se quelli giusti. Quando andò a casa dei Borsellino, fu Lucia, la figlia del giudice Paolo, a chiedergli conto dell’agenda rossa: «A fronte dell’insistenza della ragazza, che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta — ha ricostruito il tribunale — il dottor La Barbera, con la sua voce roca, disse alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto delirava e farneticava. Un atteggiamento — non hanno avuto dubbio i giudici — che rivelava non solo un’impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche un’aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino».
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