(nella foto Carlo Bartoli – presidente dell’Ordine dei giornalisti)
Estratto dell’articolo di Lorenzo De Cicco per “la Repubblica”
Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, «c’è una bomba a orologeria piazzata nelle redazioni». La “bomba” è il disegno di legge sulla diffamazione incardinato in Commissione Giustizia al Senato. La prima firma è del meloniano Alberto Balboni.
Presidente Bartoli, perché il testo allarma così l’Ordine dei giornalisti?
«Perché per come è congegnato intimidisce il giornalismo d’inchiesta. Ci spaventa il fatto che non sia prevista alcuna misura seria per le querele bavaglio, quelle temerarie, una iattura per l’Italia e a detta dell’Ue la principale minaccia alla libertà di informazione».
[…] Se il ddl venisse approvato, scatterebbero maxi-sanzioni per la diffamazione: da 10mila a 50mila euro. Più il risarcimento del danno. Perché lo considerate, di fatto, un bavaglio?
«Perché sono cifre assolutamente spropositate, che producono un effetto dissuasivo dirompente. Di norma oggi la sanzione è mille euro. Rendiamoci conto: 50mila euro un collaboratore o un freelance li guadagna in 5 anni. Significa piegare i colleghi al silenzio. Anche per un piccolo giornale sarebbe un problema insormontabile. Già oggi ricevere decine di querele è un serio ostacolo all’esercizio della professione, figuriamoci con lo spettro di sanzioni così salate, più i danni in sede civile».
FdI nel ddl sostiene di voler mettere riparo a “un rischioso sconfinamento del diritto di cronaca”. Ma già oggi, secondo il dossier sulla libertà di stampa di Reporter sans frontières , molti giornalisti italiani, soprattutto quelli meno tutelati, si autocensurano per “evitare un’azione legale”.
«Per questo siamo preoccupati. L’effetto del ddl Balboni è dissuadere i giornalisti dal fare il proprio lavoro con scrupolo e senza riguardi nei confronti del potere, da chiunque sia incarnato. […] io giornalista rischio 50mila euro di sanzione, ma chi mi querela in modo temerario per un milione di euro corre il rischio di pagare da minimo 2mila a massimo 10mila euro, così dice l’articolo 6. Noi proponiamo che se il giudice accerta che la querela è temeraria, il giornalista querelato riceva almeno un terzo della richiesta del querelante. C’è un altro elemento allarmante, che può apparire secondario ma non lo è».
Quale?
«L’indicazione del foro competente. Non è burocratese: in caso di querela, il giornalista non sarebbe più chiamato a rispondere nel tribunale della città in cui è registrata la testata, ma in quella di residenza della persona offesa. Quindi un collaboratore di Milano che viene citato in giudizio a Messina dovrebbe difendersi in Sicilia. Spostamenti molto costosi. Poi che succede nel caso in cui ci siano più querelanti, per lo stesso articolo, da diverse città? Il giornalista dovrebbe arruolare avvocati ovunque».
Il testo prevede anche rettifiche “senza commento, senza risposta e senza titolo”. Ma se si tratta di una replica palesemente infondata?
«È un altro squilibrio tutto a vantaggio della presunta parte offesa, a danno del diritto di cronaca […] il Parlamento continua a penalizzare il giornalismo regolamentato, ma resta silente sulle diffamazioni che avvengono sui social media. Colpisce i giornalisti e tace sui colossi del web».