(fonte: Corriere della Calabria – Eugenio Furia)
I veri motivi per cui Cosenza (per ora) non può essere una capitale della cultura
Tagliata fuori dai trasporti, strozzata dal dissesto e impoverita nei consumi e nelle produzioni culturali. Con pochi servizi per il turista e tanti luoghi simbolo agonizzanti
COSENZA La notizia della bocciatura di Cosenza come papabile Capitale italiana della Cultura 2026 è la ratifica di una condizione che i cosentini conoscono da sempre: avete mai visto una Capitale senza bagni pubblici e con un trasporto locale alla canna del gas? Con una stazione dei treni moribonda, senza uno sportello informazioni turistiche – attualmente è un chiosco dove si vendono giocattoli – e senza un servizio strutturato di guide?
Le poche ed eroiche figure che si occupano di illustrare le bellezze della nostra città ai sempre meno sparuti gruppi di visitatori sono attività isolate, per quanto meritevoli, che forse meriterebbero un sistema più integrato: non esiste nemmeno un souvenir eppure Cosenza vanta un duomo inaugurato da Federico II e fresco di 800esimo compleanno, per non parlare di altri monumenti federiciani come il castello svevo o simboli recentissimi, da brandizzare come il ponte di Calatrava o le sculture del Museo all’Aperto come potrebbero confermare gli esperti di marketing territoriale.
Un capoluogo tagliato fuori
La bocciatura è arrivata nei giorni in cui si è meglio definito uno scenario in cui Paola batte Tarsia come snodo dell’Alta Velocità, con il capoluogo di fatto tagliato fuori checché ne dica Rfi.
Da anni si rimpiange uno dei pochi servizi alternativi (la navetta Al Volo) che permetteva di accorciare le distanze con l’aeroporto internazionale di Lamezia mentre sul fronte dei trasporti su gomma la crisi Amaco è una nemesi se si pensa a un altro progetto a suo tempo futuribile (BinBus) e oggi impensabile se non improponibile nonostante l’accelerazione sulla Città unica Cosenza-Rende-Castrolibero (qui una rassegna delle varie posizioni).
Ma oltre alla carenza di servizi per un eventuale turista o fruitore di prodotti culturali, Cosenza boccheggia anche se si analizza la produzione culturale stessa: attività diffuse ce ne sono, e non poche, ma qual è la ricaduta in termini di una crescita altrettanto diffusa della conoscenza?
Teatri e strutture nel limbo
Il polo universitario di infermieristica e l’incubatore di startup, entrambi nel centro storico, sanano da pochissimo l’anomalia di un ateneo collocato nel Comune che – al netto della utopica Città unica di cui sopra – drena da anni residenti e appeal al capoluogo di provincia.
Luoghi simbolo di una possibile rinascita – su tutti due unicum come il Planetario (nella foto) e la Città dei Ragazzi, perennemente agonizzanti – o di una storia secolare – come la Biblioteca civica – raccontano al meglio il limbo che condanna Cosenza al “qui e ora”. Volendo rimanere nel centro storico manca la visione che si era fantasticata ad esempio con la nascita del Centro Internazionale di Studi Telesiani Bruniani e Campanelliani del compianto Nuccio Ordine a Palazzo Caselli (Giostra Vecchia).
Peraltro, per le attività culturali tutte le strutture gli spazi pubblici sono a pagamento causa dissesto: come può crescere la cultura in una regione depressa come la nostra se anche per presentare un libro si deve pagare un gettone? È naturale che soltanto chi propone rassegne commerciali riesce a stare nei costi.
Pensiamo al teatro: nella città del teatro di tradizione mancano le produzioni e soprattutto continua a latitare un coordinamento (solo il Centro Rat è meritoriamente ospitato in una struttura comunale come il Chiostro di San Domenico). Qualche speranza si può anzi si deve riporre negli ultimi affidamenti, che in ogni caso ancora devono partire.
Due anni in stand by
Se a questi disservizi e deficit (cui siamo quasi assuefatti vivendoli quotidianamente sulla nostra pelle, da cittadini: e i turisti di certo li notano e li soffrono ancora di più) si aggiunge un Dossier di candidatura basato su cantieri ancora aperti, la bocciatura comunicata mercoledì scorso sembra quasi scontata. E non si tratta di remare contro, semmai di essere realisti.
Ora ci sono due anni di stand by per pensare di concorrere di nuovo al titolo: un biennio in cui l’amministrazione può creare le condizioni per partecipare di nuovo e con qualche freccia nell’arco. Nel frattempo potrebbero essere anche ultimati i lavori di Cis, Pnrr e Agenda Urbana e un eventuale dossier poggerebbe su basi solide anziché immateriali.