(nella foto Pierluigi Bersani e Elly Schlein)
Niccolò Carratelli per la Stampa – Estratti
«Elly, hai deciso? Ti candidi?». Questa sera, durante la riunione della segreteria Pd, qualcuno si farà coraggio e chiederà a Schlein di chiarire le sue intenzioni rispetto alla corsa per le elezioni europee. In realtà, nessuno al Nazareno nutre ancora dubbi sul fatto che la leader voglia essere della partita. Il punto, dice uno dei componenti della segreteria, «è capire quando sarà pronta per annunciarlo», sbloccando così la composizione delle liste e dando il via a tutti gli effetti alla campagna elettorale. Ma anche «che formula sceglierà», perché c’è da superare un’altra questione non banale: come scendere in campo senza entrare in rotta di collisione con Romano Prodi, che si è espresso chiaramente contro le candidature di bandiera. Da qui la possibile scappatoia, che più d’uno le sta suggerendo, cioè presentarsi da capolista in una sola circoscrizione e non in tutte e cinque, accontentando così anche il presidente dem Stefano Bonaccini. E addirittura, una volta eletta, trasferirsi per davvero al Parlamento europeo. Pare assurdo, ma è una voce sempre più forte. Per ultimo ieri è arrivato Pierluigi Bersani: «Deve valere il principio di coerenza – avverte l’ex segretario – se ti candidi poi vai a Bruxelles». Anche se guidare il partito facendo su e giù con la capitale belga sarebbe un’impresa temeraria. In ogni caso, sarà una corsa da equilibrista, nel tentativo di rafforzare la sua leadership, ma senza andare contro un bel pezzo di partito e il suo padre nobile. Anche per questo, dovrebbe accantonare la strategia – pure presa in considerazione – dei “comitati Schlein” a livello territoriale. Sarebbero dovuti nascere per sostenere la sua candidatura, attirando mondi fuori dal Pd e allargando così la base elettorale, oltre che per puntare tutto su di lei e meno sul partito. «Non ne so nulla, ma non mi stupirebbe», commenta un senatore della minoranza dem. Del resto, è un modello già adottato dalla segretaria per le primarie vinte a sorpresa e, prima ancora, per le Regionali in Emilia-Romagna con la lista “Coraggiosa”, quando aveva ottenuto il record di preferenze. La leader dem non fa trasparire nulla, si mostra concentrata su altro, come il confronto in Aula con Giorgia Meloni, oggi pomeriggio durante il “premier time”. Sarà lei ad argomentare l’interrogazione Pd, che ha scelto di giocarsi sul tema della sanità, in particolare sulle «drammatiche difficoltà degli ospedali dovute alla carenza di personale». Del resto, se proprio deve mettersi a ragionare di elezioni, Schlein vede con più urgenza la scadenza delle Regionali in Piemonte e Basilicata, dove si cerca faticosamente un accordo per un candidato comune con il Movimento 5 stelle (al contrario di Abruzzo e Sardegna). La notizia di un incontro, lunedì sera, con Giuseppe Conte è stata smentita dal presidente M5s, che però conferma contatti frequenti con la leader Pd: «Con Elly ci sentiamo spesso. Ci confrontiamo su tanti temi, anche sulla situazione sui territori». L’ex premier sa perfettamente che Schlein, molto più di lui, ha necessità di portare a casa risultati a livello locale, nelle Regioni e nei Comuni, per puntellare la propria leadership. Reggere a giugno nel voto per Bruxelles (galleggiando intorno al 20%), infatti, non basterebbe a compensare eventuali sconfitte sanguinose nelle città. «Se Elly perde Firenze, perde il Nazareno», è la tetra, ma realistica profezia di Matteo Renzi. Il quale ha ancora la sua influenza politica in riva all’Arno e, proprio per questo, nel Pd sanno che per vincere è meglio averlo dalla propria parte, trovando una sintesi tra le tre candidate in campo nel centrosinistra. La fantomatica cena tra il leader di Italia Viva e Dario Franceschini, mai smentita, è il segno che sono partite le manovre per scongiurare la caduta della roccaforte fiorentina. Ma nel Pd, com’è noto, sono abituati a portarsi avanti e c’è già chi alimenta ipotesi per il dopo-Schlein. Il ritorno di Paolo Gentiloni a Roma fa sognare i suoi estimatori, ma la realtà è che il commissario europeo resterà al lavoro a Bruxelles almeno fino a novembre e non ha la minima intenzione di mettersi a fare il leader di partito. Un’altra suggestione porta il nome dell’ex ministro Enzo Amendola (…)