RASSEGNA STAMPA – LA MELONI RINTUZZA LE CRITICHE DI MARINE LE PEN MA DEVE SUBIRE LE PROVOCAZIONI DELLA LEGA. I GIOCHI SULLA RIELEZIONE DELLA VON DER LEYEN RESTANO APERTI…

Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per www.repubblica.it

È fondamentale non perdere di vista i segnali, in questo scontro finale che sta lacerando il centrodestra. Tardo pomeriggio, in una libreria Mondadori nel centro di Roma. Antonio Tajani è seduto accanto al commissario europeo dem Paolo Gentiloni, l’arcinemico della destra. Tiene tra le mani il saggio “Nazione Europa”, scritto dal corrispondente di Repubblica da Bruxelles Claudio Tito […]. Il vicepremier di Forza Italia è stufo di Matteo Salvini, che continua a chiedergli di allearsi con Marine Le Pen al posto di Emmanuel Macron, di rinnegare la “maggioranza Ursula” per i neonazisti dell’Afd. Tanto stufo, da andare dritto al punto: «Noi siamo il Ppe […] e non c’è un accordo di governo in Italia che ci obbliga a far parte della stessa famiglia europea». Segue pietra tombale su qualunque ipotesi di tregua nella coalizione: «Sono i numeri che decidono. Noi siamo il Ppe e non andiamo con Le Pen e l’Afd […]».  […] la polemica – anzi il duello, meglio ancora, lo scontro senza quartiere – lacera il governo. Giorgia Meloni è infuriata con Salvini. Stanca dei suoi attacchi. Incredula per il video con cui Le Pen, durante l’evento sovranista organizzato dal vicepremier leghista, ha attaccato la premier suscitando l’ovazione della platea. E dunque, manda ad Agorà il suo uomo di fiducia a Bruxelles, Nicola Procaccini, per contrattaccare: «È stato un errore non prendere le distanze e, anzi, applaudire!». L’istinto le consiglierebbe una resa dei conti, la ragione le impone di aspettare il momento giusto per chiudere la partita. E dunque, in missione in Basilicata, evita lo strappo pubblico: «Tutti sanno qual è la strategia che ho in Europa e che do per scontato sia condivisa da tutta la coalizione: portare la maggioranza di centrodestra anche in Europa. È un errore dividere o far prevalere la campagna elettorale, rilanciando ipotesi di divisioni del centrodestra. È l’unico favore che si può veramente fare alla sinistra». Assomiglia a un ultimatum: fermati, prima che sia troppo tardi. Salvini, per tutta risposta, sceglie invece di scagliarsi ancora contro Palazzo Chigi: «Da mesi la Lega auspica un centrodestra unito, in Europa come in Italia. Purtroppo, fino ad oggi sono arrivati solo veti sulla Le Pen e sui nostri alleati. Speriamo che nessuno, nella coalizione che guida il Paese, preferisca governare l’Ue con Macron e i socialisti, piuttosto che con la Lega e i suoi alleati». È l’ennesima conferma della minaccia politica rappresentata da Salvini, per Meloni. Come reagire, dunque? Esistono due strade […]. La prima la porta a studiare l’eventualità di un governo bis dopo le Europee. Per ridimensionare il leghista, per premiare Forza Italia, soprattutto in caso di sorpasso sul Carroccio. Gli effetti, però, sarebbero deflagranti sugli equilibri della coalizione. L’altra opzione, travagliata e dunque tutta da costruire, è accettare l’idea macroniana e sposare – forse addirittura proporre – la candidatura di Mario Draghi al vertice delle istituzioni europee: potrebbe Salvini dire di no all’ex banchiere centrale, di cui è stato ministro, quando Meloni si trovava all’opposizione? Nell’attesa, Tajani continua a martellare. Liquida dunque le accuse di Salvini, conferma il sostegno a Ursula von der Leyen o al popolare su cui dovesse consolidarsi un consenso dopo il voto. E poi […] conferma uno dei retroscena contenuti nel libro di Tito a proposito della trattativa che portò alla scelta di von der Leyen nel 2019, a scapito del socialista Frans Timmermans: «C’era il governo gialloverde – racconta per ben tre volte in pochi minuti -. Chiamai Salvini e gli dissi: “È assurdo che l’esecutivo sostenga un socialista, visto che sono arrivati prima i popolari”. Per fortuna cambiarono idea». Come a dire: hai rischiato di affidare al Pse la guida della Commissione e adesso vuoi darci lezioni? Il 9 giugno è ancora molto, molto lontano.