FRA LE CARICHE RICOPERTE QUELLA DI PRESIDENTE DEL SENATO AI TEMPI DI BERLUSCONI. HA MOLTA FAMILIARITA’ CON LA COSTITUZIONE PER CUI IL SUO MONITO A RIFLETTERE SUL “PREMIERATO”, PER COME E’ CONFEZIONATO, NON VA SOTTOVALUTATO. QUANTO AI RISCHI CHE SI CORRONO C’E’ QUELLO DI COMPATTARE LO SCHIERAMENTO DI CENTROSINISTRA CHE AVREBBE LA MEGLIO NELLA CONSULTAZIONE REFERENDARIA. IL PRECEDENTE C’E’ E RIGUARDA RENZI CHE COMMISE L’ERRORE DI PERSONALIZZARE IL REFERENDUM E DOVETTE LASCIARE PALAZZO CHIGI. ANCORA OGGI, RIDOTTO AL 2 PER CENTO, PIANGE. IN TUTTA SEGRETEZZA.
Augusto Minzolini per “il Tempo”
Siamo ai prolegomeni della madre di tutte le battaglie per il governo Meloni: il premierato, cioè l’elezione diretta del capo del governo. Continuano a moltiplicarsi i comitati civici favorevoli alla riforma, gli organismi che fronteggeranno il probabile referendum sulla riforma costituzionale. Una mobilitazione generale che non sembra prevedere ripensamenti anche se c’è chi nel campo del centrodestra mette in guardia il premier dai possibili rischi. Qualche giorno fa seduto al tavolino di un bar a due passi dal Pantheon, l’ex-presidente del Senato, Marcello Pera, si è lasciato andare a questo ragionamento: «È un’operazione complicata. Come ho già detto la riforma è piena di contraddizioni. Non c’è un professore di diritto costituzionale che ne abbia dato un giudizio positivo. Inoltre c’è il rischio che il conseguente referendum rimetta insieme l’intera opposizione, offra un’occasione d’oro per far rinascere uno schieramento che riunisca l’intero centro-sinistra. Un’alleanza che sulla carta potrebbe pure vincere il referendum. E a quel punto non va dimenticata l’esperienza di Renzi che perse il referendum, ma anche Palazzo Chigi. Ecco perchè spero ancora che Giorgia ci ripensi». Nelle congetture di Pera ci sono tutti i pericoli e i rischi che il premier corre. Rischi veri perché non bisogna farsi confondere dallo stato dell’opposizione di oggi, dal litigio continuo tra Pd e grillini. È chiaro che lo scontro sul premierato, contro quello che la sinistra considera un feticcio del centrodestra, è l’argomento più funzionale ad una ipotetica resurrezione del campo largo. Certo la mobilitazione popolare contro la riforma non è ancor cominciata, a parte i convegni dei professori d’area e dei magistrati di sinistra, ma si può star sicuri che già nella giornata del 25 aprile ci saranno i primi appelli contro la svolta autoritaria. Il leit motiv per ora, come ripete fino alla noia il vicesegretario del Pd Provenzano, è «pensare alle europee», ma che l’appuntamento sia fissato non lo nasconde nessuno. «Loro fanno i comitati civici pro-premierato – spiega l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini – e noi in risposta schiereremo i comitati “contro” la riforma della società civile. In fondo sarà uno sprone per radunare l’intera opposizione. Credo che l’organizzazione sia già in gestazione». Non per nulla la stessa «ratio» la ritrovi nelle parole del leader di sinistra italiana, Nicola Fratoianni: «Certo che li faremo, la lotta contro il premierato farà ripartire l’alleanza di sinistra». E su questo argomento, anche in tempi di spietata competizione elettorale, il Pd può riprendere il filo del dialogo con i grillini. Tutti ci scommettono, i piddini come i 5stelle. «Per me la Meloni- è l’opinione del vicepresidente del movimento, Riccardo Ricciardi – fa una follia a rischiare il referendum. Certo nel Paese non c’è mai stato un momento più favorevole per una riforma del genere visto che non c’è più lo spettro di Berlusconi. Ma per lei è comunque un azzardo, basta ritornare con la mente a Renzi. Noi saremo spinti a fare fronte comune con il resto dell’opposizione e lei deve tenere conto anche della possibilità che i suoi riottosi alleati nel referendum potrebbero tirargli un brutto scherzo. Ecco perché non mi meraviglierei se ci ripensasse evitando questa prova di forza». Già ora, infatti, l’esito della madre di tutte le battaglie appare incerto. Tant’è che si sono moltiplicati in entrambi i campi i fautori di una possibile mediazione, di un possibile compromesso. Spesso tortuoso, a volte incomprensibile. Tutti nomi che da quarant’anni hanno a che fare con il miraggio della grande riforma costituzionale: dai liberali di destra Giuseppe Calderisi e Gaetano Quagliarello, ai piddini Enrico Morando e Peppino Calderisi, all’ex-forzista Fabrizio Cicchitto. Tentativi che per ora non hanno tirato fuori un ragno dal buco. «Abbiamo avanzato la proposta ripresa da un’ipotesi avanzata in passato dal presidente della consulta Augusto Barbera – racconta Ceccanti – di un sistema in due fasi: nella prima i candidati premier vengono legati ai seggi presi dal loro schieramento ; poi, se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta dei seggi si va al ballottaggio di fronte agli elettori sui due candidati che hanno avuto più seggi. Solo che questi sono matti, non sentono ragioni né da una parte, né dall’altra. Entrambi sono convinti di poter vincere il referendum. Per cui per ora non ci sono i margini per un compromesso. Ci saranno i comitati civici pro-riforma, e dall’altra parte già nei comizi del 25 aprile chiameranno alla mobilitazione contro la svolta autoritaria. A quel punto io non voterò al referendum, preferirò andare in Thailandia. Purtroppo è il ” manicomio Italia”».