RASSEGNA STAMPA – VENTI DI GUERRA NEL PD PER LA FIRMA AL REFERENDUM CGIL.

DARIO FRANCESCHINI, PLENIPOTENZIARIO E UOMO DEGLI INTRIGHI NEL PD, SI SGANCIA DALLA SCHLEIN E PUNTA A NUOVI EQUILIBRI INTERNI. DI SMISURATE AMBIZIONI (SOGNA IL QUIRINALE) E’ IL TIPICO DEMOCRISTIANO CHE ACCUMULA POTERE SENZA VOLER COMPARIRE. SI APRE COSÌ UNA NUOVA FASE NEL PD E IN CONTO BISOGNA METTERE ANCHE L’IPOTESI DI SCISSIONE. LA FUSIONE NON RIUSCITA POTREBBE ESSERE A UNA SVOLTA. MOLTO DIPENDE DAL VOTO EUROPEO E DAL RISULTATO CHE USCIRA’ DALLE URNE. INTANTO DOPO FRANCESCHINI SI ATTENDONO ALTRI POSIZIONAMENTI.

Niccolò Carratelli per la Stampa – Estratti

Quattordici mesi dopo il paradosso dentro al Pd è ormai evidente. L’ultima polemica sulla scelta di Elly Schlein di firmare i referendum della Cgil contro il Jobs act ha solo contribuito a rafforzarlo. Alcuni pesi massimi del partito, da Dario Franceschini ad Andrea Orlando, che avevano sostenuto la segretaria nella campagna congressuale, spingendola verso il Nazareno, sono sempre più critici di fronte alle sue mosse. E ora non si preoccupano nemmeno più di nasconderlo. Anche, o soprattutto, perché lei spesso decide in autonomia senza consultarli. Mentre Stefano Bonaccini, il suo avversario alle primarie, in teoria punto di riferimento della minoranza dem sconfitta nei gazebo, ha sempre mantenuto un canale di comunicazione privilegiato con «Elly», eredità della loro collaborazione alla guida dell’Emilia-Romagna. Al punto da essere percepito oggi come il più sincero alleato della segretaria, sempre pronto ad ascoltare e consigliare, oltre che a sopire i malumori dei suoi. Una dinamica emersa chiaramente in questi giorni di frizioni sul Jobs act. Mentre altri esponenti Pd firmano i quesiti del sindacato (ieri Sandro Ruotolo, Laura Boldrini e Jasmine Cristallo), l’ala riformista è in subbuglio. Lorenzo Guerini e Graziano Delrio si mordono la lingua, anche se tutti sanno come la pensano. Altri esternano senza remore il loro fastidio, da Marianna Madia a Simona Malpezzi, fino a Giorgio Gori. Ma Bonaccini si sforza di spegnere le polemiche:  (…) Non sono in lista, invece, Franceschini e Orlando, anche se il secondo è stato corteggiato da Schlein per un posto nel Nord-Ovest, ma ha declinato. Franceschini, di solito ermetico, fa sapere che non firmerà il referendum Cgil e con i suoi interlocutori definisce «un errore» la decisione della segretaria di sostenere i quesiti contro il Jobs act. Non è la prima bacchettata: due settimane fa, il giorno della Direzione sulle liste per le Europee, aveva fatto filtrare tutto il suo sconcerto sull’ipotesi di inserire il nome “Schlein” nel logo elettorale del Pd.  (…)  Nessuno ha dimenticato che sull’idea di “personalizzare” il simbolo Pd Bonaccini si era invece mostrato possibilista, facendosi portatore della proposta davanti alla Direzione in veste di presidente del partito. Dopo essersi confrontato in più occasioni con Schlein sulla composizione delle liste, opportunità che molti big del partito non hanno avuto. Fin qui la collaborazione tra la segretaria e il presidente si è incrinata una sola volta, a febbraio, quando il Pd al Senato ha votato contro la proposta leghista di un terzo mandato per i governatori. Ma, anche in quell’occasione, Bonaccini aveva finito per gettare acqua sul fuoco: «Pensiamo a vincere in Sardegna, poi ci chiariremo». Poi, dopo il successo di Alessandra Todde, i due hanno ripreso a camminare a braccetto. Insomma, grande disponibilità del presidente dell’Emilia-Romagna. «Anche troppa», dice chi, tra i suoi, lo vorrebbe più combattivo. Il rischio per Schlein, invece, è quello di rilassarsi in questo idillio in salsa emiliana, perdendo di vista il riposizionamento di un bel pezzo di partito, che l’ha sostenuta e portata in trionfo, ma ora manda chiari segnali di insofferenza. In sintesi, rischia di fermarsi a guardare Bonaccini e non vedere arrivare Franceschini.