Francesco Merlo per la Repubblica
Rilegga Furto di Giorgio Caproni: “Hanno rubato Dio. / Il cielo è vuoto. /Il ladro non è ancora stato / (non lo sarà mai) arrestato”. E però, se mi permette, cara professoressa, rimettiamo a posto, nei loro scaffali, sia il Quinto di Calvino, l’intellettuale comunista che decide di “far ritorno nella sua città natale per intraprendervi una speculazione edilizia”, e di cui — è vero — si fa abuso, e sia il magico Caproni. Torniamo invece al “lusso Vanzina”. Lo scenario di questa corruzione è infatti la variante genovese del kitsch Vanzina, che è romano ma anche milanese, con ilcummenda che avvolge, mi pare, la tangente nel mattone. C’è Vanzina nel caviale consumato sullo yacht dell’arraffo, tra bollicine e bracciali d’oro di Cartier, borse di Chanel e sedute dal parrucchiere. E balla come quella di Boldi la carta di credito del vecchio diavolo Spinelli che mette la mano nel borsello nero, “il sacco della vedova”, solo per amore del prendere e del dare, del rito del corrompere «bevi il veleno rigenerante» dice il terribile fratello all’iniziato Alberto Sordi che si ritrae spaventato finché non gli mormorano: «È solo un Fernettino». Il vecchio salda le notti a Montecarlo, una volta con le mogli e più spesso con le amanti. “Noli me tangere ” dice Gesù sfuggendo alla Maddalena. Il verbo d’origine, tango tangis , è lo stesso ma l’evoluzione vanziniana ligure trasforma in tangente il sesso e il gioco d’azzardo al casinò. Le fiches a Genova, ha notato Dagospia, perdono la “s”.