AL “SUO” POPOLO DEL M5S COME E’ ANDATO A “SBATTERE” SUL 10 PER CENTO SCARSO RACIMOLATO, AL NORD ED AL SUD, CON QUEL CHE RIMANE DEL REDDITO DI CITTADINANZA. IL PARTITO A SUA IMMAGINE E CONVENIENZA NON HA FUNZIONATO. COSÌ COME LO HA RIDOTTO, COMPLICE BEPPE GRILLO TACITATO CON UN APPANNAGGIO ANNUALE DI 300 MILA EURO, IL MOVIMENTO E’ DESTINATO A SCIOGLIERSI CON TRASMIGRAZIONI PROGRESSIVE IN ALTRE FORMAZIONI. DOVREBBERO TORNARE OPERATIVI I DIRIGENTI E I PARLAMENTARI FATTI FUORI CON LA REGOLA DEL TERZO MANDATO. FATTI FUORI LORO E’ STATO FACILE STRUTTURARE IL MOVIMENTO IN FUNZIONE DEI SUOI OBIETTIVI PERSONALI, PRIMO FRA TUTTI IL RITORNO A PALAZZO CHIGI. ORA CONTE HA IL PROBLEMA DI CONSERVARE LA GUIDA DEL MOVIMENTO, PROMETTE UNA “COSTITUENTE” E NUOVE REGOLE MA E’ LA SUA LEADERSHIP CHE E’ ANDATA IN CRISI E C’E’ CHI LAVORA A NUOVI SCENARI. PER COSTRUIRE L’ALTERNATIVA AL CENTRODESTRA IL M5S E’ INDISPENSABILE MA NON E’ METTENDOSI IN COMPETIZIONE COL PD CHE SI CREANO LE CONDIZIONI.
Gabriella Cerami per la Repubblica – Estratti
Non si dimette ma rilancia. Non usa la parola congresso ma a questo pensa Giuseppe Conte quando dice ai parlamentari che è «venuto il momento di avere una grande assemblea collettiva, un’assemblea costituente, con la partecipazione di tutti gli iscritti».
L’AVVOCATO DEL POPOLO, AL SECOLO GIUSEPPE CONTE, DOVRA’ SPIEGARE
Ed è qui che si discuterà di come cambiare e migliorare le regole del M5S. Quelle regole, come l’impossibilità di ricoprire una carica istituzionale per la terza volta, che hanno portato, secondo le riflessioni tra i 5Stelle, il partito al minimo storico del 9,99%. Ai deputati e ai senatori, il presidente vuol dare anche l’impressione di non essere per forza legato al suo ruolo: «La mia guida rimane e rimarrà sempre e solo funzionale agli interessi superiori della nostra comunità». Tuttavia, afferma questo nella convinzione che per ora non esiste un’alternativa, anche perché in questi anni ha modellato il partito a sua immagine e somiglianza, e ora sotto accusa degli esponenti storici del Movimento è finita anche questa eccessiva personalizzazione. Quindi Conte si batte il petto quando si dice pronto ad ascoltare i parlamentari per «approfondire con franchezza le ragioni di questa sconfitta». E in effetti ieri ha avviato un giro di colloqui per cercare di dare nuovo slancio al Movimento. Prima di vedere i parlamentari, l’ex premier ha riunito i componenti dei direttevi di Camera e Senato, e poi anche gli eurodeputati neo eletti. Nel frattempo, nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama, si aggiravano i volti dei grillini tra delusione e horror vacui. Un senso di vuoto e di paura del futuro. I tempi in cui si aspettava il verbo di Beppe Grillo, l’unico capace di dare la linea al Movimento, sono passati e ora tutto il quadro è più fragile. Quello dell’assemblea costituente sarà un percorso molto lungo, qualcuno vede solo un modo per prendere tempo e superare la batosta elettorale. Di certo, però, una dead line c’è: arrivare in tempo per consentire, eventualmente, a Roberto Fico di candidarsi presidente della Regione Campania nel 2025. E farsi trovare pronti per le prossime elezioni quando serviranno i volti noti per trainare il Movimento. Quindi l’unica possibilità di venir fuori da questa crisi passa da un cambiamento profondo: via il limite dei due mandati, che non ha consentito ai più conosciuti di correre per un seggio a Bruxelles, immaginare anche di abolire il sistema del voto online per scegliere le persone in lista e una rivisitazione dell’attuale assetto di comando. Sul piatto, dunque, c’è di tutto. Tranne le sue dimissioni. In fondo lo dice lo stesso Conte in serata prima di entrare a Montecitorio per la riunione dei gruppi parlamentari: «Dimissioni sul piatto? Sì…della cena… ». E con una battuta allontana le voci di chi, anche all’interno del partito, immaginava una sua resa e un avvicendamento alla guida di M5s. L’ordine di scuderia, in questa fase di tattiche e di manovre, è infatti respingere un cambio al vertice. (…) Stefano Patuanelli invita tutti alla «lucidità». Un monito che, pronunciato da chi aveva previsto la caduta al 10% per M5s, scatenando le ire di Conte, porta a credere che serve appunto una fase di riflessione non autoassolutaria e lungimirante.
L’IRRILEVANZA CREPUSCOLARE DI GRILLO
Francesco Merlo per la Repubblica – Estratti
Allo stesso modo oggi che il Movimento 5stelle affoga nel 9,99 per cento di Giuseppe Conte e dei suoi ectoplasmi, la nostalgia di Grillo diventa la cura palliativa della sconfitta. Sicuramente fu un orrore l’epoca di Casaleggio senior e dei professori-paperini come Becchi e quel tal Peter Jospeh, le scie chimiche, i microchip sotto la pelle, e “il tumore si cura con il limone e la cacca di capra” e “l’ aids è la più grande bufala del secolo”, ma si capisce che tutto questo possa essere rimpianto come la fantasia al potere che cambiò l’Italia rispetto alla lagna terminale dell’ennesimo trasformismo perdente di Conte annunziato dal finto “dilemma” delle dimissioni: “Forse me ne vado, ma forse non adesso”. (…) È vero che lo stesso Grillo sembra consapevole che il passato non può essere una terapia, visto che nel suo blog scrive a grossi caratteri: «L’Italia ha messo un’elica davanti per correre all’indietro». Ma si capisce che Toninelli, Di Battista, Virginia Raggi e tutti gli altri ex squinternati d’assalto, tutti “i diciannovisti” di Grillo e Casaleggio- senior siano riacciuffati alla gola dal “come eravamo”. Alibi e contraffazione, la sceneggiata di Conte “mi dimetterò, statene sicuri, ma per rafforzare il Movimento e non per indebolirlo…” accende la lucciola pasoliniana di quel Dario Fo che riuscì a convincere molti elettori di sinistra che le sparate di Grillo, il suo parlare per eccessi, per iperboli, sberleffi e anche per insulti e minacce di ogni genere, era in fondo teatro, opera buffa, metafora, era il linguaggio smodato e maleducato dell’arte comica che diventava progetto politico . È difficile negare che ci sia una triste grandezza in Beppe Grillo, che è diventato irrilevante pur avendo vinto e stravinto sino a fare del suo movimento il partito di maggioranza relativa. Grillo è insignificante pur avendo cambiato il nostro Paese, e non è certo il primo italiano che si perde nella sua stessa vittoria come già accadde a Martinazzoli (…) Giuseppe Conte invece esordì nel Movimento truccando il curriculum di professore. Con la proverbiale “quasità”, che ha perfezionato l’ambiguità e la doppiezza italiane, ha fatto il presidente del Consiglio, prima con la destra e poi con la sinistra, dichiarando di non stare né con la destra né con la sinistra. Con cinismo ha fatto fuori tutti i rivali interni e ha zittito lo stesso Grillo assegnandogli un lauto stipendio. Si è alleato con tutti e ha tradito tutti gli alleati, rilanciando l’astruso linguaggio del non dire per dire e del dire per non dire. E ora che gli elettori di sinistra non gli hanno creduto ed è stato sconfitto alle elezioni, in un tripudio di “vai avanti”, “torna alle origini”, “non mollare”, Conte riflette, temporeggia, minaccia le dimissioni e le consegna al giornale di riferimento lasciandosi processare dal suo Marco Travaglio che è il solo che lo capisce: «La tentazione di Conte di passare la mano è comprensibile: sbattersi tanto per raccogliere così poco è frustrante e restare dopo tale batosta può sembrare avvitarsi alla poltrona. Ma, senza di lui, il M5S sarebbe morto già con la cura Draghi e ora si sognerebbe pure il 9,99 per cento». Come si vede quella di Conte “ho salvato il Movimento e non mi consegnerò al nemico” è una “mascariata”, una contraffazione da commedia all’italiana che non può non risvegliare Beppe Grillo, come se lo sfidasse a una resa dei conti, questa volta definitiva: Grillo- Conte all’ultimo duello. Ed è anche una delle sceneggiate più viste e collaudate della storia d’Italia. La regola è sempre la stessa: le dimissioni si minacciano ma non si danno, per non correre il rischio che vengano accettate.