RASSEGNA STAMPA – HA PROVATO A RESTARE IN GIOCO

E IN QUALCHE MODO GIORGIA MELONI C’E’ RIUSCITA. HA DETTO NO AL METODO E AL MERITO E NON HA VOTATO IL SOCIALISTA COSTA PER LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E LA ESTONE KALLAS PER GLI AFFARI ESTERI. SULLA VON DER LEYEN SI E’ ASTENUTA PER GIOCARSELA IN PARLAMENTO IL 18 LUGLIO. PER ECCESSO DI TATTICA E DI PROTAGONISMO LA MELONI SI E’ ISOLATA ISOLANDO L’ITALIA. ORA SI TRATTA DI ASSICURARE ALLA VON DER LEYEN I VOTI NECESSARI PER METTERLA AL RIPARO DAI FRANCHI TIRATORI E RICEVERE IN CAMBIO UN COMMISSARIATO DI “PESO” PER L’ITALIA.

Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”

Va via nella notte, perché il Consiglio europeo finisce addirittura con un giorno di anticipo. Sconfitta totale, per Giorgia Meloni. Astensione clamorosa su Ursula von der Leyen, voto contrario su Antonio Costa e Kaya Kallas. E poi fuga densa di rabbia. Non silente, però.

Prima la premier detta un post su X, laconico, ad ammettere l’isolamento nel quale si è cacciata. «La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito – scrive – Ho deciso di non sostenerla nel rispetto dei cittadini e delle indicazioni arrivate con le elezioni.

Continuiamo a lavorare per dare finalmente all’Italia il peso che le compete in Europa».

Tradotto: abbiamo perso, proveremo a strappare almeno un portafoglio migliore scambiandolo con i nostri voti all’Europarlamento.

Prima di volare verso Ciampino, Meloni si ferma anche con i cronisti. «Il ruolo dell’Italia non è accodarsi agli altri. E non sono d’accordo che il voto contrario mette a rischio la nostra posizione nell’Unione. Sarebbe vergognoso se ce la facessero pagare».

Scintille. Nulla è come sembra, al tavolo delle nomine di Bruxelles. Ad esempio le promesse (vane) di riscossa alla vigilia del summit: questa notte — fa trapelare — li farò ballare. A dire la verità, saranno poi gli altri leader — come succede da giorni, per giunta — a far ballare l’Italia.

Certo, Donald Tusk — il negoziatore polacco — riprende a parlare con la premier infuriata. Prova a tenerla dentro al patto sui top jobs. Con questo schema: mostrati ragionevole e vedrai che otterrai garanzie per l’Italia.

Ma quali? Un buon portafoglio economico, che non sia però la concorrenza (quella andrà ai francesi): risultato onestamente scontato e nella media, per uno dei Paesi fondatori dell’Unione.

E ancora, una vicepresidenza, però non “esecutiva” (pure questa andrà a Parigi): anche in questo caso, difficile concedere di meno a Roma. In cambio, però, la leader deve sostenere l’accordo su Ursula von der Leyen.

[…] Matteo Salvini boicotta ogni possibile accordo, con toni scelti al millimetro per mettere in difficoltà la leader. E infatti, alla fine Meloni sceglie un punto di caduta pericoloso e che isola Roma, anche se non ancora in modo definitivo: solo l’astensione su von der Leyen serve a continuare a mediare in vista del passaggio finale all’Europarlamento. «Stasera non potevo fare altro – spiegherà ai suoi, riferiscono – non avevamo altra scelta». Le parole del leghista, si diceva, sono tempesta. E cancellano buona parte dei margini di trattativa per Meloni. «Quello che sta accadendo sulle nomine puzza di colpo di Stato — dice il segretario del Carroccio su Rete4 — Milioni di europei hanno chiesto di cambiare l’Europa. E che cosa ti ripropongono quelli che hanno perso? Le stesse facce. Non gliele faremo passare».

[…] Nel vertice più difficile, comunque, la premier medita seriamente lo strappo politico, incalzata da Salvini. E frena solo su Ursula, anche perché un voto ostile avrebbe conseguenze enormi. L’astensione diventa l’unica strada praticabile (la decide assieme a Raffaele Fitto). Resta comunque un distinguo politico enorme, ma non definitivo. [….]