HA ANNULLATO LA CONFERENZA STAMPA ANNUNCIATA

MA NON HA AVUTO PROBLEMI A FARSI INTERVISTARE DA TOMMASO CERNO AGLI 80 ANNI DEL QUOTIDIANO “IL TEMPO”. GIORGIA MELONI NON FA MISTERO DI NON AMARE LE DOMANDE DEI GIORNALISTI E SI SOTTRAE MA, NEL CONTEMPO, UTILIZZA SENZA LIMITI E SPAVALDAMENTE LE TESTATE FILOGOVERNATIVE. NE CONSEGUE CHE SULLA LEGGE FINANZIARIA GIRANO I NUMERI CHE FORNISCE LEI E GIRANO I NUMERI CHE CONTRAPPONGONO I SINDACATI E I PARTITI DI OPPOSIZIONE. CHI NON HA BISOGNO DI NUMERI E’ IL CITTADINO CHE HA BISOGNO DI CURE O CHE DEVE FARE QUADRARE IL BILANCIO FAMILIARE.

Ilario Lombardo per “La Stampa” – Estratti

La conferenza stampa annunciata da Giorgia Meloni, la prima nel formato classico dopo cinque mesi, che avrebbe dovuto coincidere con la scadenza dei primi due anni di governo e che poi è stata disertata dalla stessa premier, si è trasformata in una chiacchierata amichevole con Tommaso Cerno, ex An, ex senatore del Pd, ex direttore dell’Espresso, oggi alla guida de Il Tempo, testata di Antonio Angelucci, indomito editore di destra ma anche parlamentare della Lega. Poco meno di un’oretta di monologo, interrotto ogni tanto dai ganci ammirati di Cerno, contiene a fatica il trionfo di lodi autocelebrative sul proprio governo. Alla festa per gli 80 anni de Il Tempo, alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma, Meloni può dire quello che le pare, come le pare. Per esempio: «Non parlerei di complotto, le poche volte che leggo i giornali, leggo di Meloni complottista, per me sono dinamiche bizzarre, non credo ci sia volontà di sovvertire la volontà popolare, ma c’è un menefreghismo rispetto alla volontà popolare, della serie: se il popolo non vota come dovrebbe votare vanno sovvertite le scelte». (…) Due mesi dopo, si apre un nuovo capitolo della battaglia della destra contro la magistratura. Meloni la cavalca, nelle stesse ore in cui Marina Berlusconi, primogenita dell’ex premier, a un paio di chilometri dalla Gnam, rispolvera il repertorio del papà contro i giudici. Una sintonia ritrovata sulla giustizia, tra la premier e la manager, dopo il freddo degli ultimi mesi verso gli eredi Berlusconi e l’ipotesi di una discesa in campo di Pier Silvio. La premier rivendica la decisione di aver rilanciato sui propri social parte della mail di un magistrato, Marco Patarnello, in cui definisce Meloni «pericolosa». È stato ampiamente provato il taglia e cuci che ha manipolato lo stralcio pubblicato fuori contesto da Il Tempo, stravolgendone il senso, e poi strumentalizzato dalla destra, dalla premier e persino dal ministro della Giustizia Carlo Nordio: ma nonostante questo non avviene alcun ripensamento. Cerno e Meloni ci tornano su come se nulla fosse: quel magistrato, riprende la leader, dice che «io agisco secondo una visione politica, ed è vero. Ma il ruolo della politica è rispettare la volontà popolare, non rincorrere interessi personali. Io non mi faccio condizionare da nessuno su quello che ritengo giusto per dare risposte ai cittadini, nel rispetto delle leggi». È il perfetto assist per difendere il progetto dei centri per il rimpatrio in Albania, il cui funzionamento è stato messo a rischio dalla decisione dei magistrati di Roma. A Meloni preme difendere due cose. Il protocollo con Tirana, che secondo la premier è diventato un modello per molti Paesi europei. E la manovra. Sul primo punto torna a sfidare le toghe, sminuendo la sentenza della Corte di Giustizia Ue sui Paesi da considerare sicuri per i rimpatri dei migranti, che è alla base del pronunciamento dei giudici romani. Quest’ultimo è «irragionevole» secondo Meloni, «perché non riguarda il tema dell’Albania, ma tutti gli immigrati illegali che arrivano da alcune nazioni». I giudici, continua, «si rifanno a una sentenza della Corte europea, ma la mancate convalide dei trattenimenti degli irregolari sono cominciate molto prima». Fa nulla che la sentenza della Corte Ue sia del 4 ottobre. Questo particolare scompare dal ragionamento della premier. Che promette: «Avevo messo in conto che ci sarebbero stati degli ostacoli ma li supereremo: il protocollo Italia-Albania funzionerà. Non consentirò che venga smontato», da giudici che hanno «una visione molto diversa da quello che ha il governo». Anche sulla manovra toni trionfalistici. E qui può tranquillamente difendersi da chi – la sinistra e il M5S – dice che ha tagliato la sanità e lasciato briciole per le pensioni minime: «Non abbiamo aumentato le risorse come avremmo voluto perché abbiamo da pagare 38 miliardi di euro di Superbonus che ci è servito per ristrutturare meno del 4% delle case degli italiani, soprattutto le seconde».