LA PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE CHE “SVUOTA” I PASSAGGI PIU’ SIGNIFICATIVI DELLA LEGGE SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

RIMETTE AL CENTRO DEL DIBATTITO POLITICO LA “BANDIERINA” SULLA QUALE LA LEGA DI SALVINI FACEVA MOLTO AFFIDAMENTO PER RIALZARSI DALLE CADUTE ELETTORALI. FDI E FI NON HANNO INTERESSE AD ACCELERARE I TEMPI PER CORREGGERE LA LEGGE IN PARLAMENTO MA SALVINI HA BISOGNO DI ESSERE POLITICAMENTE “RISARCITO” PER DIFENDERE LA SUA TRABALLANTE LEADERSHIP. HA BISOGNO DI OTTENERE IL TERZO MANDATO PER LUCA ZAIA IN VENETO PER UN DUPLICE OBIETTIVO, OVVERO MANTENERE IL GOVERNO DELLA REGIONE E BLOCCARE ZAIA NELL’INCARICO ISTITUZIONALE IN MODO DA TENERLO LONTANO DA ASPIRAZIONI DI LEADERSHIP ALL’INTERNO DELLA GERARCHIA DELLA LEGA. IL FATTO E’ CHE LA MELONI HA PUNTATO AL GOVERNO REGIONALE DEL VENETO CON UN PROPRIO CANDIDATO E NON RISULTA CHE VI ABBIA RINUNCIATO.

DAGOREPORT

Giorgia Meloni ha convocato, nei prossimi giorni, una riunione con i suoi due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, per mettere a punto la legge finanziaria che va approvata entro il 31 dicembre. La premier dovrà usare il bilancino per non rischiare ulteriori strappi e tensioni all’interno della sua maggioranza, soprattutto perché la Ducetta ha capito che Salvini è in una fase molto complicata della sua leadership. Le motivazioni della parziale bocciatura dell’autonomia differenziata, da parte della Consulta, hanno sì reso felici Fratelli d’Italia e Forza Italia, ma hanno piantato una granata sotto i piedi dell’ex Truce del Papeete. Palazzo Chigi non freme per portare in aula le norme da correggere, e c’è il rischio che la discussione a riguardo venga calendarizzata molto in avanti, magari ripartendo dalla Camera invece che dal Senato (è lo scenario tratteggiato oggi dalla “Stampa”) e impantanando il provvedimento in Commissione Affari costituzionali, con il serio rischio di mandarlo a morire tra i farraginosi meccanismi di palazzo. Senza l’autonomia da sventolare a beneficio degli elettori, Salvini finirebbe nel mirino dei suoi maggiorenti, già sul piede di guerra per i pessimi risultati elettorali del Carroccio. Inoltre, a pungerlo c’è la spina nel fianco Vannacci: il generale, che vale il 3% dell’8 oggi attribuito alla Lega, ha sedotto molti elettori nel Centro e nel Sud, e nel caso di una sua futura scissione, l’ex partito di Bossi tornerebbe mestamente nella ridotta padana, a percentuali sempre più irrilevanti. Giorgia Meloni ha capito il valore della posta in palio: un animale ferito è più pericoloso, ed è meglio trovare un’intesa che non mortifichi il già malmesso Salvini. Anche per questo, la premier ha avuto più di un colloquio con esponenti di Forza Italia, chiedendo di abbassare i toni e ridimensionare i continui contrasti con la Lega. Il suo ragionamento è che mettere spalle al muro Salvini non faccia altro che destabilizzare la maggioranza, con il rischio di farla zompare in aria. Seguendo questo ragionamento, Giorgia Meloni deve ora affrontare un dilemma impegnativo, che ha a che fare con le elezioni regionali in Veneto: il Governo dovrà decidere sull’ammissibilità del terzo mandato, e dunque anche sulla possibilità per Luca Zaia di ricandidarsi e, molto probabilmente, rivincere le elezioni nel fortino veneto. Mantenere un presidio leghista nella Regione è visto come imprescindibile da un’ampia fetta del Carroccio e lo stesso Zaia ha usato toni apocalittici (“Se perdiamo anche il Veneto, va tutto a rotoli”). Coerenza vorrebbe che Giorgia Meloni, per non mettere nei guai Salvini, lasci le cose come stanno. Il problema è che la premier coltiva da tempo il sogno di espugnare il ricco Veneto, togliendolo dalle grinfie della Lega, e vorrebbe farlo candidando il suo plenipotenziario nella Regione, Luca De Carlo. Che fare? A pesare nella valutazione finale, sarà il comportamento di Salvini. Nelle ultime settimane il “Capitone” ha timidamente ripreso a evocare l’importanza, per la Lega, di tenere Venezia, ma in realtà non sarebbe così dispiaciuto dalla detronizzazione del “Doge”. Privato degli onori del ruolo, Zaia avrebbe meno influenza e sarebbe meno esposto mediaticamente. Un bel vantaggio, visto che Salvini considera l’ex ministro dell’Agricoltura un pericoloso avversario interno al partito. Qualche malizioso sottolinea la pericolosità di sfilare a Zaia la poltrona dalle chiappe: libero dagli impegni istituzionali, chi può esser certo che non decida di dare l’assalto alla segreteria del partito?