MA LA PROCEDURA PASSA PER IL PARLAMENTO DOVE LA MELONI HA LA MAGGIORANZA. NON VERRA’ QUINDI PROCESSATA PER FAVOREGGIAMENTO E PECULATO. MA NON E’ QUESTO IL PUNTO. RIMANE IL FATTO CHE LA MELONI, CON I SUOI MINISTRI, HA MENTITO AL PAESE E PER COPRIRE LA MENZOGNA HA CERCATO DI FAR PASSARE PER “INCRIMINAZIONE” UNA DOVUTA INFORMAZIONE CHE NON ACCUSA MA SEMPLICEMENTE METTE AL CORRENTE CHE ESISTE UNA DENUNCIA. STOP. ANDRA’ VERIFICATA NELLA SUA ATTENDIBILITA’ E, SE NON SUPPORTATA DA ELEMENTI CONCRETI, ARCHIVIATA. SEMMAI RESTA L’INTERROGATIVO DEL PERCHE’ LA MELONI, SUL RILASCIO DEL GENERALE LIBICO, NON HA POSTO IL “SEGRETO DI STATO”. NESSUNO POTEVA IMPEDIRGLIELO. HA DOVUTO, INVECE, CEDERE AL RICATTO CHE MIGLIAIA DI MIGRANTI, A SBARCO CONTINUO, SAREBBERO PARTITI DALLE PRIGIONI CONTROLLATE DAL GENERALE INSEGUITO DA MANDATO DI CATTURA PER CRIMINI, TORTURE E STUPRI CHE GLI VENGONO ADDEBITATI. UN RICATTO, APPUNTO, ANDATO A BUON FINE.
Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Che il fascicolo aperto dalla Procura di Roma non sfocerà in alcun processo è pressoché certo, visto che un eventuale processo dovrebbe essere autorizzato dal Parlamento dove il governo ha una solida maggioranza. Ma è altrettanto certo che il procuratore Francesco Lo Voi non potesse fare altrimenti di fronte alla denuncia ricevuta. Secondo la sua interpretazione della legge, poteva solo iscrivere le persone segnalate sul registro degli indagati e inviare il procedimento n. 3924 del 2025 al tribunale dei ministri. «Omessa ogni indagine», dice la norma, che per il procuratore vuol dire divieto di acquisire atti a sostegno dell’istanza o della sua infondatezza. Nell’incartamento, a parte la lettera di trasmissione, c’è solo l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, con l’indicazione dei reati ipotizzati: favoreggiamento personale (nei confronti del generale libico Najeen Osama Almasri) e peculato (per l’uso dell’aereo di Stato utilizzato per rimpatriarlo). Addebitati al capo del governo e ai ministri della Giustizia e dell’Interno che avrebbero deciso la scarcerazione e la riconsegna alla Libia, e per il sottosegretario con delega ai servizi segreti relativamente al mezzo di trasporto. […] Mentre c’è un conflitto tra il governo italiano e la Corte dell’Aia, dopo la scarcerazione di Almasri decisa dalla corte d’appello a fronte della «prodromica e irrinunciabile interlocuzione tra il ministro della Giustizia e la Procura generale», che ha inutilmente interpellato il Guardasigilli. Di qui la decisione politica, attribuita al governo, di non voler consegnare il generale libico accusato di torture, stupri e crimini di guerra dalla Cpi, che nella denuncia dell’avvocato Li Gotti si è tramutato in favoreggiamento del ricercato. Anche nelle leggi che hanno recepito l’adesione dell’Italia alla Corte internazionale la cooperazione giudiziaria con i giudici dell’Aia assomiglia a un atto dovuto; per esempio laddove l’articolo 59 dello Statuto di Roma prevede che «lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione». Per questo per il ministro Nordio c’era anche la possibilità di ipotizzare l’omissione d’atti d’ufficio, non menzionata però dall’avvocato Li Gotti nella sua denuncia. Chiedendo invece «che vengano svolte indagini sulle decisioni favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia». Compito spettante al Tribunale dei ministri. Ferma restando l’insindacabilità dell’atto politico, che si può intravedere dietro il silenzio-diniego del ministro sull’arresto di Almasri. Tuttavia Nordio non l’ha rivendicato come tale, e dunque anche questa eventualità dovrà essere oggetto d’indagine. Preclusa alla Procura di Roma, sempre secondo la lettera della legge sui reati ministeriali. L’altra quasi-certezza di questa vicenda è che contribuirà ad alimentare la tensione tra l’ufficio guidato dal procuratore Lo Voi e il governo. Tanto più dopo che accertamenti dell’Aisi (l’Agenzia per la sicurezza interna) sul capo di gabinetto della premier Gaetano Caputi che dovevano rimanere segreti, sono finiti in un fascicolo d’indagine destinato alle parti in causa, e dunque a divenire pubblici. Un esito non gradito a Palazzo Chigi. Come la comunicazione recapitata ieri.