Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Domenica scorsa, verso il tramonto. Giorgia Meloni è sul volo dell’aeronautica militare che dal Cairo la sta riportando all’aeroporto di Ciampino. Scrive ad Antonio Tajani: «Sulle elezioni russe intervieni tu, per adesso». La premier sta lavorando a uno statement del G7 che, alla fine, clamorosamente salterà (ma questa è un’altra storia). La linea dell’esecutivo è affidata alla Farnesina, per volere esplicito di Palazzo Chigi. Passa qualche ora, tutto precipita. Matteo Salvini plaude alle elezioni russe. Sconfessa il ministro degli Esteri. La presidente del Consiglio è furiosa. In quegli stessi minuti sta lavorando con le altre Cancellerie alla bozza di dichiarazione congiunta con Elisabetta Belloni, che tiene al suo fianco anche per dimostrare la totale adesione alle ragioni atlantiche. Questo pomeriggio, in Parlamento, dovrà anche sostenere l’Ucraina, in vista del Consiglio europeo di giovedì, dove la attende lo sconcerto dei partner continentali. Capisce immediatamente il danno di immagine procurato da un vicepremier che si affretta a lodare – unico tra i leader delle democrazie occidentali – la gestione del voto da parte del regime di Mosca. Succede anche un’altra cosa che manda Meloni su tutte le furie, riferiscono. Sul cellulare della presidente del Consiglio viene inoltrata un’agenzia. Non una qualunque: Reuters. In inglese, rilancia così quanto accaduto: «Il vice primo ministro italiano ha preso le distanze dalla risposta critica dei leader occidentali alla schiacciante vittoria di Putin, affermando che il verdetto degli elettori deve essere accettato». Un disastro, nell’anno di presidenza italiana del G7. Per la premier, la conferma di quanto va sostenendo in privato ormai da settimane: Salvini, completamente esautorato sul dossier dei migranti, continuerà a metterci in difficoltà sulla guerra perché è l’ultimo argomento rimasto – assieme alle battaglie dei no vax – per mobilitare l’elettorato di estrema destra. Una ritorsione contro l’alleata, insomma. Lucida, pianificata. Necessaria per sopravvivere. Sarà, ma è comunque l’imbarazzo il vero sentimento che si impossessa di Palazzo Chigi. Meloni chiede con vigore a Tajani di ribadire la linea dell’esecutivo, in modo da bilanciare la figuraccia internazionale. Il ministro è a Bruxelles. E sta trattando con i colleghi del continente una dichiarazione congiunta che contesta il voto nei territori ucraini occupati dai russi. Gli chiedono conto di quel compagno di governo che spezza l’unità dell’Unione su un punto cruciale di politica estera. Fonti riferiscono anche di un sms di fuoco che Meloni invia al segretario della Lega, ma di questa ricostruzione manca una solida conferma. Di certo, dalla sede dell’esecutivo si muovono anche altri ambasciatori. Contattano lo staff di Salvini, pretendono un cambio di rotta. Alla fine, arriva una timida e contorta rettifica (che non rettifica nulla). Nel frattempo, Meloni deve registrare una puntata di Agorà , che andrà in onda stamane. Sa che non può eludere la domanda. La risposta è sempre la stessa ed evita accuratamente il frontale con l’alleato con cui ormai fatica anche solo a incontrarsi. […] Meloni deve gestire lo stupore di Washington e Bruxelles, ma anche la distanza che in questo modo la divide dal trio di Weimar che si è impegnato a sostenere Kiev a ogni costo. E, dettaglio non secondario, deve convivere con un vicepremier che di certo suscita sconcerto anche al Quirinale: dal Colle, per dire, dopo la scontata vittoria di Putin non è partita alcuna lettera da Presidente a Presidente. Imbarazzo e difficoltà, ancora. E la consapevolezza che il leghista – questo è il ragionamento che la premier consegna al suo staff – ha rotto quel “patto del silenzio” che si era autoimposto nel primo anno di governo: poche uscite pubbliche sulla crisi in Ucraina […] Qualcosa, adesso, sembra essersi rotto. Il leghista rialza la testa, questo il timore, prevedendo una vittoria di Donald Trump. Un fattore capace di trasformare la percezione dell’opinione pubblica rispetto alla guerra. Lasciando Meloni nella scomoda posizione di doversi mostrare, da presidente del G7, al fianco di Zelensky. […]