MA LUI, DETTO ANCHE “SEMOLINO” PER IL CARATTERE CONCILIANTE NEL MAGMA DELLE BEGHE POLITICHE, NON SI SCOMPONE E, NEL CASO DI SFIDUCIA, AFFERMA CHE AVRA’ COSÌ LA POSSIBILITA’ DI RIPOSARSI. IN VERITA’ GIORGETTI, COME MINISTRO DELL’ECONOMIA, HA PROBLEMI SERI DA AFFRONTARE IN VISTA DELLA LEGGE DI BILANCIO A SETTEMBRE. BUCHI MILIARDARI DA COPRIRE SENZA AVERE LA DISPONIBILITA’ DELLE RISORSE NECESSARIE. INTANTO DEVE ASSECONDARE LA MELONI NELL’ELARGIZIONE DI BENEFICI IN CHIAVE ELETTORALE. ULTIMA TROVATA : 80 EURO IN BUSTA PAGA CON LA TREDICESIMA PER I LAVORATORI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CON REDDITI FINO A 15MILA EURO. PER GIORGETTI SARANNO GIORNI COMPLICATI E NON BISOGNA DARGLI TORTO SE AUSPICA UN INCARICO A BRUXELLES, MAGARI NELLA SCIA DI MARIO DRAGHI. SOPRATTUTTO SE, COME E’ NELLE PREVISIONI, LA LEGA USCIRA’ RIDIMENSIONATA E MALCONCIA DALLE URNE IL 9 GIUGNO. SI APRIRA’, CON I TEMPI NECESSARI, LA SUCCESSIONE A SALVINI NELLA GUIDA DELLA LEGA E GIORGETTI NON VUOLE CORRERE IL RISCHIO DI TROVARSI NELLA MISCHIA.
1 – GIORGETTI, ‘VI SEMBRO STANCO? SONO UNA BESTIA’
(ANSA) – “Vi sembro stanco? Ho fatto 74 vasche, sono una bestia”. Così il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha risposto a margine dei lavori sul Def a chi gli chiedeva un commento sulle indiscrezioni di stampa – richiamate anche durante il dibattito in Aula – che lo vedrebbero ‘stanco’ dopo l’astensione della maggioranza nel voto a Bruxelles sul patto di stabilità. Secondo quanto riportato da La Stampa Giorgetti avrebbe risposto “magari, sono stanco” ad una domanda se il voto di Bruxelles potesse essere considerato una sfiducia nei suoi confronti.
2 – MANOVRA SENZA FONDI, I TIMORI DI MELONI GIORGETTI: “MI HANNO SFIDUCIATO? MAGARI”
Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera e Francesco Olivo per “la Stampa”
Quando ieri sulle agenzie di stampa hanno iniziato a scorrere i commenti dell’opposizione a proposito dell’astensione del centrodestra sulla riforma del patto di Stabilità al Parlamento europeo, Giancarlo Giorgetti ha reagito con il suo ormai noto registro: «Dicono che è un voto di sfiducia a me? Magari, sono stanco». Trattandosi di una battuta di routine, non va presa troppo sul serio. Ma tradisce un problema sempre più evidente nel centrodestra di governo, e che diventerà serissimo dopo le elezioni di giugno, quando l’Italia entrerà in procedura di infrazione e bisognerà iniziare a prendere decisioni difficili: a settembre Giorgia Meloni deve scrivere la legge di Bilancio per il 2025, e al momento non ha come finanziarla. È per questo che la premier ha chiesto ai partiti della coalizione di astenersi in maniera compatta, anche rompendo le indicazioni delle singole famiglie politiche, come nel caso di Forza Italia, parte del Partito popolare europeo. Meloni ha preteso di dare (e ricevere) un segnale di unità per portarsi avanti con il lavoro, quando le restrizioni di bilancio imposte dall’accordo franco-tedesco verranno alla luce. Spiega una fonte del Tesoro: «Il ministro aveva già detto in Parlamento il giorno precedente quale sarebbe stato il voto della maggioranza. E aveva già detto che le nuove regole erano un compromesso, e come tale scontentavano tutti». E così, pur con diverse sfumature, la maggioranza ora dice che il patto di stabilità andrà cambiato. Un’operazione retorica che sarà quasi impossibile tramutare in realtà, almeno nel breve periodo. L’accordo è stato chiuso dai ministri delle Finanze dei Ventisette ormai settimane fa e – su questo l’opposizione dice il vero – l’Italia non si disse contraria. La Lega spiega che dopo giugno la maggioranza a sostegno della Commissione europea cambierà, ma anche questo al momento è solo un wishful thinking. C’è un però, di cui vedremo le conseguenze prestissimo. Per via delle regole comunitarie, lunedì prossimo i Ventisette ministri dell’agricoltura sono chiamati ad una ratifica formale del nuovo Patto. Toccherà quindi a Francesco Lollobrigida o più probabilmente al sottosegretario (leghista) Luigi D’Eramo, esprimere la posizione finale dell’esecutivo. Cosa farà l’Italia? La cosa più logica, anche alla luce dell’indicazione di Meloni, sarebbe di ribadire l’astensione. Ma se non ci sarà l’unanimità, quelle stesse regole dicono che la riforma verrebbe di fatto bocciata. Che fare dunque? La Commissione europea troverà una soluzione per evitare di far crollare il castello costruito in mesi di delicatissime trattative? Sia come sia, si ripeterebbe lo schema già visto per la direttiva sulle Case green, dove il governo Meloni, dopo un primo via libera, ha votato contro in Parlamento e all’Ecofin, lo scorso 12 aprile. Prima di questo c’era stata la mancata ratifica del nuovo Meccanismo di stabilità (Mes), bocciato dal Parlamento italiano dopo il sì del precedente governo ai tavoli europei. Insomma, il doppio registro di Meloni con Bruxelles regge sempre meno, esasperato da elezioni in cui Fratelli d’Italia non vuole lasciare alla Lega il monopolio delle critiche all’Europa matrigna, quelle che campeggiano nei manifesti sparsi per il Paese da Matteo Salvini. La concorrenza interna alla maggioranza è comunque un tema secondario rispetto al problema principale, che possiamo tradurre in un numero: venti miliardi di euro, la cifra minima necessaria a confermare l’anno prossimo le misure finanziate una tantum nel 2024. […]