GLI ESAMI NON FINISCONO MAI, SOPRATTUTTO A BRUXELLES.

RAFFAELE FITTO HA AVUTO LA NOMINA DALLA VON DER LEYEN A VICE-PRESIDENTE ESECUTIVO NELLA COMMISSIONE DELL’UE MA DEVE ANCORA SUPERARE L’ESAME DEFINITIVO CHE NON E’ DA SOTTOVALUTARE. BRUXELLES INSOMMA NON E’ ROMA DOVE UN LOLLOBRIGIDO O UN SANGIULIANO DIVENTA MINISTRO.1. FITTO E GLI ALTRI COMMISSARI UE VANNO SOTTO ESAME: NOTTE DEI LUNGHI COLTELLI A STRASBURGO

Estratto dell’articolo di Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”

Rocco Buttiglione era a un passo dal traguardo. Correva l’anno 2004. Designato dal governo Berlusconi, il presidente della Commissione José Manuel Barroso lo voleva commissario per la Giustizia, la libertà e la sicurezza. Alle domande a raffica degli eurodeputati della commissione parlamentare per le Libertà civili, il politico democristiano aveva risposto passando con sicurezza dall’italiano all’inglese e dal francese al tedesco. Ma le sue posizioni sull’omosessualità gli furono fatali. «Indice di disordine morale», l’aveva definita, pur dichiarandosi contrario a ogni discriminazione. Era abbastanza per suscitare le ire di socialisti e verdi, ma anche i dubbi di molti popolari suoi compagni di partito. «Ma questo equivale a discriminarla come peccato ed è contro l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue», gli rimproverò l’ecologista olandese Kathalijne Buitenweg. Forse sentendosi come Lutero alla Dieta di Worms, Buttiglione rispose di «non poter agire contro la mia coscienza per ragioni di convenienza politica». Venne bocciato due volte (la prima come commissario designato alla Giustizia, la seconda come vicepresidente designato della Commissione) e sebbene il voto non fosse vincolante, il governo italiano ritirò la sua candidatura per non indebolire Barroso. Ogni cinque anni, il Parlamento europeo «vuole fare l’americano». Freschi di elezione, i deputati si cimentano nell’esercizio di democrazia introdotto dal Trattato di Maastricht, mettendo sulla graticola i futuri commissari in veri e propri «hearings», modellati sul Congresso USA, alla fine dei quali esprimono un gradimento. […] La procedura è rigorosa e dettagliata: «Il Parlamento valuta i commissari designati sulla base delle loro competenze generali, del loro impegno europeo, della loro indipendenza personale», nonché «la loro conoscenza del futuro portafoglio e le loro capacità di comunicazione». Di più, i parlamentari hanno «facoltà di chiedere qualsiasi informazione pertinente sulle loro attitudini» e si attendono «una informazione esaustiva sui loro interessi finanziari». Fu proprio l’opacità sull’uso improprio di fondi europei (era accusata di remunerare un assistente in Francia con denari dell’Ue) e il conflitto di interessi sulle consulenze da 13 mila euro al mese per l’Istituto Berggruen mentre era eurodeputata, a far naufragare nell’autunno 2019 la nomina della francese Sylvie Goulard a supercommissario per il mercato interno, l’industria della Difesa, lo spazio e il digitale. Fu uno sfregio a Emmanuel Macron, che l’aveva imposta a quell’incarico pesante, anche come ricompensa per essere stato il regista dell’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Quello di Goulard fu anche un processo politico, nel quale i deputati, soprattutto quelli del Ppe, si vendicarono del presidente francese, reo di aver fatto saltare la procedura dello Spitzenkandidat. L’audizione ebbe risvolti drammatici: «Non ritiene che le accuse a suo carico siano un peso insopportabile da gestire?», le chiese il popolare Christian Ehler in chiusura. Goulard, gli occhi pieni di lacrime, si appellò alla «presunzione d’innocenza» e concluse: «Tocca ora a voi decidere in animo e coscienza». Venne bocciata con 82 voti contrari, 29 a favore e un astenuto. Con lei caddero anche la romena Rovana Plumb e l’ungherese Làszló Trócsányi. Tornando alla procedura, l’esame è scritto e orale. I commissari, che hanno preventivamente mandato al Parlamento i loro cv, devono rispondere per iscritto a cinque domande uguali per tutti, incentrate sulle loro priorità politiche. Poi vengono le audizioni, davanti alla commissione competente per il portafoglio assegnato, ognuna delle quali dura circa tre ore. I candidati fanno un discorso introduttivo di 15 minuti, poi partono le domande. I deputati hanno 24 ore per esprimere il loro parere. Un commissario passa l’esame se lo approvano i due terzi dei membri della commissione. In caso contrario, se il nominato non decide di ritirarsi per ragioni di opportunità politica, il presidente della commissione parlamentare può convocare una seconda votazione entro 24 ore dove basta la maggioranza semplice. Quale destino attende il nuovo collegio di Ursula von der Leyen? Se notte dei lunghi coltelli sarà, vittime plausibili appaiono l’ungherese Olivér Várhelyi, la slovena Marta Kos in odore di attività lobbystiche, la belga Hadja Lahbib che da ministro degli Esteri aveva il visto facile con gli iraniani e la bulgara Ekaterina Zaharieva, sospettata di aver tollerato lo scandalo delle vendite della cittadinanza, e il maltese Glenn Micallef, per manifesta inadeguatezza. Quanto a Raffaele Fitto, oggetto di fuoco di sbarramento preventivo prima della nomina a vicepresidente esecutivo, nessuno scenario Buttiglione è all’orizzonte. Ma mai sottovalutare l’hubris quinquennale degli eurodeputati.

2. UNA VOTAZIONE INSIDIOSA PER LE SCELTE INTERNAZIONALI

Estratto dell’articolo di Massimo Franco per il “Corriere della Sera”

La domanda, ora, è se le spaccature di ieri sull’Ucraina nel voto degli euro-parlamentari italiani avranno qualche riflesso sulla conferma di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione Ue. In teoria, la quasi unità nazionale mostrata nel modo ambiguo col quale si sono espresse maggioranza e opposizioni dovrebbe favorirlo: nel senso che le contorsioni sui «sì» contro l’aggressione di Putin, abbinate ai «no» all’uso delle armi europee in territorio russo, sono state imbarazzanti in modo omogeneo: un comportamento difficilmente spiegabile all’estero. Per il fatto che quasi tutti hanno tenuto un comportamento sconcertante, sarebbe difficile giustificare una bocciatura di Fitto da parte delle opposizioni. Semmai, il problema potrebbe crearsi quando sarà interrogato nell’audizione prevista per i commissari. La presidente Ursula von der Leyen vorrebbe che la pratica si chiudesse entro metà ottobre, mentre all’inizio la data prevista era l’inizio di novembre. […] Il timore è che da esponenti socialisti, liberali e Verdi, e perfino da qualche Popolare, e cioè la maggioranza che ha votato la Commissione dall’inizio, arrivino domande spinose per Fitto. Da giorni, per coprire le resistenze verso una compagine «spostata a destra», i vertici del Pd chiedono all’ex ministro di Giorgia Meloni di prendere le distanze dal sovranismo. E avvertono che il «sì» dipenderà dalle risposte su questo tema. […] da ieri si aggiunge il tema dell’Ucraina. E potrebbe diventare insidioso dopo la linea pasticciata delle delegazioni italiane. Qualcuno potrebbe chiedere conto a Fitto della politica estera; e tentare di fare emergere le oscillazioni di un governo nazionale nel quale la Lega è esplicitamente contraria agli aiuti militari, come M5S e Avs; e sia FdI, sia FI hanno detto no all’uso delle armi in territorio russo, insieme con le opposizioni e a differenza di gran parte delle nazioni europee: pur appoggiando militarmente il governo di Kiev. È un viatico destinato a pesare negativamente; e a riesumare qualche sospetto sull’affidabilità strategica dell’Italia, che pure con la designazione di Fitto ha rotto l’isolamento seguito al voto contro von der Leyen del 18 luglio.  […]