UN PRIMO CALCOLO INDICA PER IL MADE IN ITALY UN COSTO FRA I 7 E I 10 MILIARDI E COLPIRA’ SOPRATTUTTO LA ENOGASTRONOMIA. PER GLI AMERICANI CHE VORRANNO CONTINUARE A “BERE E MANGIARE ITALIAN” CI SARA’ UN INEVITABILE CONTRACCOLPO SUI PREZZI. E’ PRESTO PER DIRLO MA L’AMERICA COMINCIA A DIVIDERSI SULLA POLITICA DEI DAZI ANCHE PERCHÉ L’EUROPA E’ PRONTA A DIFENDERSI. A MENO CHE -INTERPRETAZIONE CHE CIRCOLA- TRUMP NON USI I DAZI COME STRUMENTO DI PRESSIONE PER OTTENERE RISULTATI CONTRO L’INFLUENZA DELLA CINA SUI MERCATI E PER PORTARE AL 3,50 PER CENTO DEL PIL IL CONTRIBUTO DEI PAESI DELLA NATO.
Estratto dell’articolo di Paolo Baroni per “la Stampa”
Per alcuni dei settori di punta del Made in Italy, come l’industria del mobile o l’agroindustria (vini, liquori, formaggi, conserve), per non dire della farmaceutica, quello nordamericano è uno dei principali mercati di sbocco, se non il primo. In ballo ci sono decine di miliardi di euro di esportazioni che ora i dazi minacciati da Trump mettono decisamente in pericolo. Le nostre imprese, infatti, rischiano una stangata che potrebbe arrivare anche a 10 miliardi di euro. Per contrastare i piani di Trump servirebbe una risposta forte dell’Europa, «ma l’Europa in questa fase è assente, dorme» segnalano le imprese. «Le dichiarazioni di Trump non ci fanno stare tranquilli» commenta Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, settore che esporta oltre il 50% della sua produzione e che ha negli Usa il suo secondo mercato di riferimento per un controvalore di 1,4 miliardi di euro. […] Anche per l’agroalimentare il contraccolpo potrebbe essere pesante. Francesco Mutti, amministratore delegato dell’impresa di famiglia, la Mutti spa di Parma, che nel giro di poco tempo sul mercato nordamericano è diventato il primo marchio italiano nel mondo del pomodoro, dice di «vivere molto male» la prospettiva che gli Usa introducano nuovi dazi, «non solo per l’eventuale danno che potrebbe subire la sua azienda, ma soprattutto per la mancanza di visione della nuova Amministrazione Usa. Perché in un momento come questo, con la guerra in Ucraina ancora in corso e la situazione in cui si trova il Medio Oriente, non si può scatenare una guerra commerciale per un po’ di esportazioni». […] Su 6 miliardi di euro di export agroalimentare ben 2 arrivano da vini e liquori che hanno negli Usa il loro primo mercato di sbocco, mercato che per i vini vale ben il 29% dell’export ed il 13% per i prodotti a maggiore gradazione alcolica. «La nostra industria ha già sofferto pesantemente a causa di dazi che hanno colpito ingiustamente il comparto – sostiene la presidente di Federvini Micaela Pallini -. È essenziale che produttori e istituzioni collaborino a livello internazionale per proteggere una filiera che rappresenta un importante patrimonio economico e culturale». Secondo Chiara Soldati, presidente del Comitato Casa di Federvini e ceo della cantina La Scolca di Gavi, l’introduzione di nuovi dazi doganali da parte degli Stati Uniti «metterebbe certamente in grossa difficoltà il nostro settore. Ma un protezionismo di questo tipo – aggiunge – mi sembra poco lungimirante visto che la produzione interna americana non è sufficiente per coprire i loro consumi col risultato che gli Usa avranno comunque bisogno di una quota di importazione di cui andranno a beneficiare quei paesi, come quelli del nuovo mondo che non sono toccati dai dazi. Ad esempio già nei dati di fine anno il Sauvignon neozelandese ha recuperato molte quote di mercato rispetto ai vini europei». […] Anche per il Consorzio del Parmigiano-Reggiano gli Stati Uniti sono il primo mercato estero con oltre il 22% di quota export (pari a più di 14.000 tonnellate). «Il rischio – spiega il presidente Nicola Bertinelli – è che ora vengano presi provvedimenti di tutela che influenzano il mercato colpendo in maniera indiscriminata anche chi, come noi, copre circa il 7% del mercato dei formaggi duri a stelle e strisce e viene venduto a un prezzo doppio, 20 dollari a libra contro 10, di quello dei “Parmesan” locali. Non si può pensare che mettendo dei dazi all’importazione di prodotti lattiero-caseari si possa tutelare gli agricoltori americani, anzi. Aumenterebbe solo il prezzo per i consumatori americani, senza proteggere realmente i produttori locali. È una scelta che danneggia tutti». Analizzando i dati dell’export verso gli Usa, però, il settore che rischia più di tutti è quello dei prodotti farmaceutici. «Medicinali e vaccini rappresentano il primo settore italiano per export verso gli Stati Uniti con 7,8 miliardi di euro nei primi dieci mesi del 2024», segnala il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani -. Le nostre esportazioni però sono difficilmente sostituibili, perché la produzione di farmaci su larga scala, per il know-how che serve, non è appannaggio di tutti i Paesi. L’Italia è il primo produttore europeo ed è un campione mondiale, nella crescita dell’export abbiamo superato anche gli Usa, e quindi anche l’America conosce la rilevanza dell’industria farmaceutica italiana nel servire il loro mercato. Contiamo sul nostro alleato ma soprattutto sul nostro governo per mettere a frutto il buon dialogo politico che caratterizza questo momento in un periodo in cui l’Europa non è presente. […]».