Intervista ad Anna Falcone

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Intervista ad Anna Falcone

«Se il centrosinistra
non cambia si rischia di
far rivincere la
peggiore destra di
sempre»
Intervista ad Anna Falcone, tra i protagonisti del dibattito politico in
vista delle Regionali. «Occorre mettere in campo una coalizione larga,
unitaria, plurale e rinnovata, in netta discontinuità col passato. Il ruolo
dei movimenti civici è cruciale». «Io candidata? Me lo chiedono in tanti,
compresi molti militanti del Pd, ringrazio per la stima ma non è una
persona sola che può salvare la Calabria, serve anche una squadra»

di Antonio Cantisani

CATANZARO «L’ultima consultazione regionale lo ha
dimostrato e se non si inverte la rotta, l’esito della
prossima non sarà diverso: si rischia di far vincere la
peggiore destra di sempre», e per invertire la rotta «il
ruolo che possono giocare nel centrosinistra i
movimenti civici è cruciale». Anna Falcone, avvocata,
attivista di sinistra e soprattutto conosciutissima (e
apprezzatissima) attivista nei movimenti in difesa della

Costituzione, è tra i protagonisti dell’attuale dibattito
politico in vista delle regionali in Calabria, al punto che
in molti, anche dalla “base” del Pd, la indicano come la
candidata ideale alla presidenza della Regione . In
questa intervista al Corriere della Calabria la Falcone
si sofferma su tutte le questione sul tappeto, compresa
quella della sua eventuale candidatura, non mancando
di evidenziare gli attuali limiti di un’impostazione del
centrosinistra (e del Pd) che – sostiene – ancora
sembra muoversi «con scarsa consapevolezza o voluta
elusione dell’enorme frattura che si è consumata da
tempo fra politica e cittadini».
Avvocata Falcone, partiamo da un bilancio dell’anno
appena trascorso, che molti definiscono l’”annus
horribilis” per la Calabria, tra la scomparsa della
presidente Santelli, la conseguente ne anticipata
della legislatura, scandali assortiti, il disastro della
sanità mentre incombe l’emergenza da Covid 19:
quale Calabria vede agli albori del 2021?
«Una Calabria che ha compreso perfettamente che o si
cambia o si muore. La pandemia ha reso
drammaticamente evidenti gli effetti di anni a anni di
tagli alla sanità, agli investimenti, ai diritti sociali e di
cittadinanza. Ci siamo ritrovati in zona rossa non per
l’alto numero di contagi, ma per l’inadeguatezza
strutturale del nostro servizio sanitario di farvi fronte,
e senza la possibilità di andare fuori regione per farsi
curare. Una trappola per topi, scattata per tutti, che ha
messo a repentaglio soprattutto le fasce più fragili
della popolazione e destinata a ripetersi. Per questo la
reazione politica deve essere urgente e
improcrastinabile, e deve riguardare sia il livello locale,
che quello nazionale: mai come oggi, se non ripartono
il Sud e la Calabria, non riparte il Paese. Ma la
ripartenza deve coinvolgere tanto gli interventi
pubblici quanto la riqualificazione della
rappresentanza politica e dei processi di
partecipazione democratica. I calabresi devono essere

messi nella condizione di scegliere il proprio futuro e
chi lo interpreterà. Non può essere certo la destra
promotrice della stagione dei tagli allo Stato sociale e
della emarginazione del Sud. Men che meno chi, in
modo assolutamente trasversale, si è piegato al gioco
in cambio dell’esercizio indisturbato del potere a
livello locale. L’impossibilità di assicurare i diritti

basilari, e la salute in primis, a livelli anche solo
lontanamente paragonabili alla media nazionale non è,
infatti, nata ieri: sul “bisogno” dei calabresi, sulla fame
di diritti e di lavoro, sul costante affossamento di
qualsiasi esperienza di rinnovamento si sono costruite
clientele e carriere politiche che nessun voto
realmente libero avrebbe mai premiato. Anche per
questo serve una svolta politica radicale di metodi e
persone. Darsi una classe dirigente qualificata e libera
da condizionamenti, con una chiara idea di sviluppo e
delle risorse necessarie a costruirlo, è precondizione di
ogni processo di rinascita. Il piano “Next generation
Ue” e il “Piano per il Sud” sono un’occasione unica e
irripetibile per risollevare la Calabria e il Mezzogiorno,
ma serve una rappresentanza politica di livello
nazionale, capace di sedere con competenza,
autorevolezza e autonomia ai tavoli in cui si deciderà il
futuro del Paese. La destra a trazione nordista non può

farlo. Questa è – e deve essere – una priorità di tutto il
centrosinistra e i movimenti civici di area: una sda
storica e di coerenza politica ineludibile».
Le elezioni regionali sono state rinviate all’11 aprile
ma il dibattito è già iniziato, tuttavia l’impressione, al
solito, è che ci si sta soffermando su nomination,
liturgie, slogan, “camarille”. Secondo lei come si sta
muovendo il centrosinistra? La grande alleanza con
Movimento 5 Stelle e varie forze civiche sembra una
strada suggestiva ma molto complicata vista
l’eterogeneità dei soggetti che partecipano alle
trattative…
«Temo con scarsa consapevolezza (o voluta elusione)
della enorme frattura che si è consumata da tempo fra
politica e cittadini. È il desolante spettacolo del
vecchio che non si rassegna a morire e del nuovo che
fatica a nascere. Un vecchio che, tra l’altro, in Calabria,
non è più rappresentativo, visto l’astensionismo di più
del 50% degli elettori alle ultime elezioni regionali. E
molta parte di questa disaffezione si registra proprio
nell’elettorato di centrosinistra, che – come noto – più
della destra disobbedisce alle sirene del “voto utile”
quando non trova candidature adeguate alla pur
fortissima domanda di una rappresentanza all’altezza
delle sfide in atto. L’ultima consultazione regionale lo
ha dimostrato e se non si inverte la rotta, l’esito della
prossima non sarà diverso: si rischia di far vincere la
peggiore destra di sempre. Per scongiurarlo, occorre,
innanzi tutto, disinnescare la strategia di chi,
sottotraccia, naviga proprio in quella direzione: meglio
perdere e restare in sella, che rinnovarsi e rischiare di
vincere. Ma provare a vincere, per costruire un nuovo
futuro per la Calabria, non è un’opzione sacrificabile ad
interessi personali. Per questo, e soprattutto adesso, il
ruolo che possono giocare nel centrosinistra i
movimenti civici, e in cui trovano spazio e agibilità
democratica tante forze sane e risorse preziose per la
Calabria, è cruciale. L’appello “Calabria Aperta”, che ho

firmato insieme a più di 140 fra cittadini, attivisti,
personalità calabresi, nasce proprio per stimolare
costruttivamente questo processo di rinnovamento:
per vincere le prossime elezioni regionali e cambiare le
sorti della nostra regione serve mettere in campo una
coalizione larga, unitaria, plurale e rinnovata, in netta
discontinuità con il passato. In tal senso, l’apporto di
tante energie è una ricchezza, non un rischio: ciò che
conta è la chiarezza di obiettivi fra i diversi attori. Per
cosa si lavora? Per sé stessi o per assicurare alla
Calabria un governo all’altezza delle aspettative, dei
diritti, del futuro dei suoi cittadini? La differenza è
tutta qui e lo spostamento della data delle elezioni
offre un’opportunità unica di confronto ed esercizio di
autentica, lungimirante responsabilità. Non possiamo
perderla».
In Calabria si sta assistendo a una inattesa e
sicuramente positiva proliferazione di forze civiche:
ma non rischia di rendere eccessivamente confuso il
quadro politico?
«Guai se alla blindatura dei luoghi della politica, alla
desertificazione dei partiti, alla miope
personalizzazione delle scelte politiche la cittadinanza
non reagisse con la costruzione di nuove forme di
partecipazione. In questo contesto, è proprio il
proliferare di forze civiche che dimostra la reattività, la
voglia di impegnarsi e la domanda di buona politica da
parte dei calabresi. Una domanda che va raccolta: le
forze civiche sono una risorsa, non una minaccia. Forse
l’ultima chance di salvezza per un centro-sinistra che o
si rinnova o implode».
I suoi rapporti con il Pd? Anche qui l’impressione è
quella di un partito, almeno in Calabria, che sembra
eternamente sospeso tra annunci e realtà, tra voglia
di rinnovamento e conservazione, e forse non è solo
perché commissariato…
«Guardi, è proprio da tanti militanti del Pd calabrese

che mi sono arrivate, non le uniche, ma certamente le
più pressanti richieste di impegno per le prossime
elezioni regionali. È proprio in quel partito che si
avverte più forte, nella sua base, l’urgenza di
completare un percorso di rinnovamento che è iniziato
con le scorse elezioni regionali e che deve essere
portato a termine. Ciò che va costruita è una visione
politica di insieme, una rete fra i partiti progressisti e
di sinistra, allargata alle più radicate esperienza
civiche, che potrebbero davvero innescare un
processo di rinascita di tutto il Mezzogiorno.
Purtroppo anche questa costruzione è bloccata dalla
evidente tensione in atto fra volontà di superamento
degli assetti in essere, e istinto di conservazione del
potere personale di alcuni. Il succedersi dei
commissariamenti nel Pd calabrese dimostra
l’irriducibilità di questo contrasto interno, che fa male
al Pd, prima di tutto, e ne impedisce la più piena e
libera espressione politica. È un suo interesse
superarlo presto e bene, decidendo cosa è prioritario:
se la sua mission politica e il suo elettorato, o chi lo ha
sprofondato in una crisi, ormai decennale, che non ha
nessuna intenzione di mollare la presa. Si chiama
responsabilità politica e in un partito realmente
“democratico” deve essere fatta valere, ad ogni livello».
Domanda diretta, ma per la verità anche scontata,
visto che già varie forze politiche hanno lanciato il
suo nome come candidata alla presidenza della
Regione: Anna Falcone cosa ne pensa?
«Non mi sono mai autocandidata, non fa parte della
mia cultura, ma sono grata per la stima e la ducia che
tante persone ripongono in me. Al punto in cui, però, è
la Calabria non è una persona sola che può invertire i
destini di una regione: serve una leadership autorevole
e unificante, ma serve anche una squadra. Per questo
occorre ripartire dalla politica dei territori e dalla
valorizzazione dei tantissimi talenti, delle molte
esperienze di impegno politico e civile che a livello

locale funzionano e producono buone pratiche e
buona amministrazione. Ma soprattutto – e insisto –
bisogna coinvolgere i cittadini nella scelta delle
candidature, in modo che possano scegliere davvero
da chi essere rappresentati. Basta voti clientelari, liste
blindate e operazioni di facciata che lasciano intatti gli
attuali assetti di potere. Serve una reale convergenza
di tutte le migliori energie, di tutte le forze sane,
civiche e politiche, del centro-sinistra in un progetto
unitario di rinnovamento e discontinuità rispetto al
passato: è l’unico modo per vincere, ridare fiducia alla
politica e credito alle istituzioni».

Si fanno anche altri nomi, come quello di De
Magistris: come valuta un’eventuale discesa in campo
del sindaco di Napoli?
«Penso che chiunque condivida questo progetto, e sia
chiamato dai calabresi a dare il suo contributo, debba
poterlo fare con generosità e coraggio, mettendosi al
servizio della rinascita politica, sociale ed economica
che i calabresi aspettano da troppo tempo. In tal senso,
tutte le gure che si sono distinte nelle battaglie sociali
e politiche per il riscatto del Mezzogiorno hanno la
responsabilità politica di camminare unite, di provare a
innescare insieme quella spirale di fiducia ed
entusiasmo che è alla base di ogni reale cambiamento.
Il ne, ricordiamocelo, è battere la destra e i suoi
comitati d’affari, non dilaniarsi e porre veti incrociati a

sinistra. Io avverto forte un vento di rinascita, una
grande voglia di partecipazione, che deve essere
sostenuta da tutti gli attori in campo, partiti e
movimenti organizzati in primis. Ne va del loro futuro
e della loro credibilità».
Al di là dei nomi, comunque, probabilmente la vera
urgenza è quella di mettere in campo e concretizzare
un vero progetto di cambiamento per la Calabria: ci
indichi – almeno – tre grandimetemi,tre grandi
priorità…
«Grazie alle imponenti risorse stanziate dal piano
“Next generation Ue” la Calabria ha possibilità storica
di colmare il divario economico, sociale,
infrastrutturale e di sviluppo che la relega agli ultimi
posti fra le Regioni d’Europa, non solo d’Italia. Gli
investimenti dovranno essere impiegati in progetti per
la salute, la coesione sociale e territoriale, la parità di
genere, la transizione ecologica e digitale, i
cambiamenti climatici, la biodiversità e l’agricoltura, la
ricerca e l’innovazione, e per il potenziamento della
cosiddetta “resilienza” di sistema, ovvero l’idoneità
strutturale dei Paesi membri (e dei territori più fragili,
prima di tutti) di superare la crisi in atto e apprestare
modelli di sicurezza sociale ed economica capaci di
fronteggiare le crisi future. Non so immaginare, in
questi settori e per questi investimenti, un territorio
con maggiori potenzialità della Calabria. Penso,
innanzi tutto, al rilancio della sanità pubblica, sia con la
riapertura dei tanti plessi dismessi, che con il
potenziamento dei centri di eccellenza: non basta
spalmare in più anni il pagamento dell’enorme debito
sanitario, se in meccanismi che lo producono
rimangono invariati. I calabresi devono potersi curare,
e bene, in Calabria, non essere costretti a continui e
onerosi viaggi della speranza. Ma la Calabria deve
darsi un modello di sviluppo cha faccia dell’ambiente,
delle energie rinnovabili, della messa in sicurezza del
territorio, dell’adeguamento infrastrutturale,

dell’economia solidale e circolare, della valorizzazione
dei prodotti e delle eccellenze e delle produzioni locali
il suo punto di forza. Già solo gli investimenti in questo
settore, sostenuti da un adeguato sistema creditizio e
dal potenziamento delle reti di distribuzione,
sarebbero capaci creare moltissimi nuovi posti di
lavoro, stabile e qualificato. E poi c’è la grande sda
della modernità: ricerca, digitalizzazione, economia
della conoscenza. La Calabria ha importanti Università
e centri di ricerca, esporta menti e professionalità che
devono poter restare o tornare a lavorare nella loro
regione, per seminare qui i loro talenti. Serve un
sistema di interazione permanente fra istituzioni
regionali, Università e centri di ricerca, start-up e
mondo del lavoro. Basta lavori precari, mal pagati e
distribuiti solo ai clientes, ma istruzione, formazione e
lavoro sicuro, qualificato e dignitoso. Dobbiamo avere
l’ambizione di radicare nella nostra terra l’eccellenza
che i calabresi esprimono nel mondo».
Come convincere la metà dei calabresi che dal 2014
non va a votare? Questa terra sembra sempre più
stanca e rassegnata…
«Con un progetto concreto, che non si limiti a indicare
gli obiettivi, ma anche il modo e i mezzi per realizzarli,
e con candidature di spessore, donne e uomini stimati
e credibili, portatori delle esperienze, della passione,
delle capacità necessarie a trasformare questi obiettivi
in realtà. Niente libri dei sogni, ma pochi punti
qualificanti e decisivi per lo sviluppo della Calabria, la
valorizzazione delle sue risorse, la costruzione di un
modello di sviluppo eco-sociale e di una rete di servizi
di assistenza sociale che svincoli in bisogno dalle
clientele: sono diritti, non “piaceri”. È la rivoluzione
della normalità, del talento, della volontà: la Calabria
ha già le ricchezze su cui investire, ha bisogno solo di
istituzioni serie e capaci di valorizzarle a livello
nazionale e internazionale. E per farlo dovrebbe
sfruttare meglio la possibilità di stringere accordi

anche internazionali consentita dall’art. 117, comma 9
della Costituzione. Non ogni autonomia vien per
nuocere».

Ultima domanda: la Calabria ha avuto con la Santelli
la prima presidente donna della sua storia. Sul finire
della legislatura il Consiglio regionale è riuscito
finalmente ad approvare la doppia preferenza di
genere: quale ruolo nella politica e nelle istituzioni
calabresi lei auspica per le donne?
«Un ruolo sempre più centrale a aderente a quello che
già svolgono nella società e nel mondo del lavoro: le
donne sono il motore del cambiamento e la chiave per
innescare processi di modernizzazione politica. La
destra lo ha capito benissimo. Il centro-sinistra è
ancora troppo timido nella promozione delle donne
nei ruoli politici e amministrativi, soprattutto apicali.
Quasi che la loro presenza, i loro saperi,  l’autonomia e
il riconoscimento sociale che riscuotono siano una
minaccia e non una risorsa. Non deve più accadere che
tante donne di valore presenti e operanti nella nostra
regione vengano sacrificate alle ambizioni dell’uomo
forte di turno, o che una (in)cultura – che ci dipinge
sempre come subalterne e funzionali al potere
maschile – ci racconti in maniera distorta e difforme
dalla realtà. Mi permetta di ricordare, a proposito della
doppia preferenza di genere, che questa misura fu
introdotta per la prima volta nella legge elettorale

della Campania, grazie a una proposta dell’allora
partito socialista di cui ero responsabile nazionale
donne. Fu un successo collettivo di tante compagne e
compagni, che rappresenta però un risultato
importante della mia esperienza politica. Anche per
questo, l’approvazione della doppia preferenza di
genere in Calabria ha per me un particolare significato:
un successo per cui ringrazio le tantissime donne –
compresa la presidente Iole Santelli – che si sono
battute per questo. Mi auguro che grazie ad essa, si
riesca a portare a casa, alle prossime elezioni, il doppio
risultato di portare più donne e più voci libere e
autorevoli in Consiglio regionale. Per il centrosinistra
deve essere una priorità, una prova di coerenza: per
troppo tempo la Calabria, anche in questo, è stata
fanalino di coda. Mai come adesso, il contributo delle
donne (e dei giovani) è la migliore garanzia di rottura di
vecchi schemi per la costruzione di nuove prospettive,
aperte, inclusive, concrete, risolutive. Sarebbe il caso
di farne un modello di azione politica. Non tiriamoci
indietro». (redazione@corrierecal.it)

(fonte: Corriere della Calabria)