QUIRINALEIDE : L’INESTINGUIBILITA’ DEMOCRISTIANA….

QUIRINALEIDE: L’INESTINGUIBILITA’ DEMOCRISTIANA…

La fine del settennato di Mattarella al Quirinale e la chiamata del parlamento a eleggere il successore ha messo in evidenza l’esigenza di ripensare le modalità con le quali si procede,Costituzione alla mano, alla elezione della massima carica dello Stato. L’assenza di candidature ufficiali e dichiarate, le 3 “chiamate” che richiedono il quorum dei due terzi dei votanti, l’anonimato del voto segreto che deresponsabilizza sia i partiti che i parlamentari, l’ indecoroso mercato di convenienze che accompagna le trattative per la scelta del candidato hanno offerto uno spaccato che non contribuisce certamente a restituire credito e dignità alla politica e, meno che mai, a riavvicinare chi dalla politica si è allontanato.

Diventa ineludibile andare con la memoria alle elezioni presidenziali della prima repubblica che, con tutti i limiti ,gli intrighi fra correnti interne ai partiti e le limacciosità dello scontro politico, consentivano alla fine un minimo di trasparenza sul risultato finale. Nella kermesse parlamentare che avrebbe dovuto eleggere il successore di Mattarella, con mille e nove grandi elettori in attesa di indicazioni, è venuta fuori l’inadeguatezza al ruolo dei leader di partito.

Matteo Salvini, che non si è capito sulla base di quali specificità politiche gli è stato riconosciuto nel centrodestra il ruolo di kingmaker, avrà tempo per riflettere sugli errori commessi ma esce politicamente sconfitto dagli scontri e dagli intrighi che ha ordito. Con l’ultima candidatura della Belloni, proposta insieme a Conte, ha dovuto subire la delegittimazione arrivata direttamente da Berlusconi, dal San Raffaele di Milano, che si sganciava dal centrodestra e annunciava la partecipazione autonoma di Forza Italia ai tavoli delle trattative. Avrà problemi anche all’interno della Lega con Giorgetti che raccoglie intorno a sé l’ala governativa, consapevole che l’ostilità di Salvini nei confronti di Draghi si alimenta dell’ostilità e della gelosia politica nei suoi confronti.

Non ne esce certamente bene Giuseppe Conte, “ avvocato del popolo” quanto vuole lui, ma politico di spessore inadeguato per partite delicate e complicate come quella per il Quirinale. Gli si attribuisce la riserva mentale di voler puntare alle elezioni anticipate ma,a conclusione delle manovre, è uscito sovrastato dalle manovre di Grillo e di Di Maio. Avrà di che riflettere anche lui ma è Di Maio, più di Grillo, ad avere il controllo di quello che resta del M5Stelle. La “riflessione” chiesta da Di Maio all’interno del M5S altro non è che una dichiarazione di guerra. Patetica,comunque, la rivendicazione fatta da Conte in conferenza stampa di aver conseguito tutti gli obiettivi che si era posti.

Enrico Letta, secondo alcuni, uscirebbe dalla kermesse come “the winner”, il vincitore, ma non perchè abbia vinto la sua proposta e la sua strategia. Tutt’altro. Non ha fatto un solo un nome, nemmeno quello di Draghi che era il suo obiettivo.A detta di Salvini la “genialata”del nome di Elisabetta Belloni lo avrebbe fatto, al “tavolo”, Letta insieme a Conte e questo spiegherebbe l’immediata e feroce stroncatura di Matteo Renzi insieme a Forza Italia.Per non dire del “copyright” del conclave a pane e acqua. Letta resta un grigio professore dall’aria mesta, sprovvisto dell’ aggressività necessaria nella lotta politica, consegnato storicamente alla beffa renziana “stai sereno,Enrico “e alla mesta e risentita espressione nella tradizionale consegna della “campanella” con Matteo Renzi. Non ha vinto nulla, incassa un risultato che non è suo, Mattarella ce l’ha fatta perchè il parlamento ha dovuto riconoscere l’incapacità ad eleggere un nuovo presidente. Letta aveva soltanto dichiarato,nel caso Mattarella fosse rimasto al Quirinale :” Sarebbe il massimo !”Più di lui ha fatto Casini, consumato navigatore di mari democristiani e post-democristiani, con la furbata di invitare i parlamentari a non fare il suo nome e a puntare su Mattarella.

Un cenno a parte merita Matteo Renzi la cui abilità non è stata smentita nemmeno in questa occasione.Ha giocato tatticamente su più tavoli e su più candidature ma è stato il primo a rendersi conto che le modalità di elezione del capo dello Stato sono superate,non sono al passo coi tempi e non tengono conto del disfacimento del sistema dei partiti. L’elezione diretta del capo dello Stato deve essere considerata una necessità. Ha sostenuto Casini e in parallelo Draghi senza mai scoprirsi ma ,alla fine, è stato felicissimo di rieleggere Mattarella.

La conclusione che ci sentiamo di trarre è che la Democrazia Cristiana è tutt’altro che estinta. Semmai sopravvive con mutazioni genetiche. C’è più che mai e“lotta insieme a noi”. E’ democristiano Mattarella riconfermato, è democristiano Pierferdinando Casini mancato presidente e comunque uno dei protagonisti della kermesse, è democristiano Enrico Letta segretario del PD, è democristiano Dario Franceschini accreditato anche lui come possibile presidente, è democristiano Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e leader della corrente più forte nel PD per non dire dei democristiani trasmigrati e trapiantati nelle altre formazioni politiche.

Alle elezioni del 1983 “Il Manifesto”, a fronte di un risultato elettorale favorevole alle sinistre, titolava, ispirato da Luigi Pintor : “Non moriremo democristiani”. La realtà ci dice il contrario.A considerare il penoso spettacolo di partiti e relativi leader in disfacimento nonché quell’esercito di grandi elettori sbandati, a bivaccare e bighellonare intorno a Montecitorio in attesa della “chiama” e tenuti all’oscuro del candidato da votare, può addirittura risultare consolatorio che ci siano ancora democristiani in giro come Clemente Mastella per divertirci e Sergio Mattarella per tranquillizzarci.

Ma la commedia non finisce qui.Ora che Draghi è rimasto a palazzo Chigi e che sarà chiamato a prendere decisioni politicamente delicate bisognerà vedere come si comporteranno tutti coloro, grandi e piccoli, di destra e di sinistra, che si sono sperticati a esaltarne capacità e ruolo per impedirgli di scalare il Colle. (nella foto Enrico Letta)