In occasione della presentazione del “patto per Napoli”, che porterà alla capitale del sud 1 miliardo e 231 milioni in 20 anni, il presidente Draghi ha riconosciuto, bontà sua, l’esistenza di una questione meridionale ma ha ammonito a non lasciarsi andare a “rivendicazioni sterili”. Un monito per metà legittimo, considerata la cultura di governo , la capacità del ceto politico meridionale di programmare sviluppo e la inadeguatezza della burocrazia meridionale a svolgere il suo ruolo nell’applicazione di leggi e procedure, per non dire della capacità e competenza nell’espletare bandi, appalti e nell’utilizzare al meglio risorse nazionali ed europee. Il presidente di Confindustria Calabria, Ferrara, facendo sponda a Draghi, ha chiosato che oggi la “questione meridionale” é diventata “questione burocratica” per il dichiarato e riconosciuto deficit professionale della burocrazia dei comuni meridionali nel progettare gli interventi sul territorio da finanziare con i miliardi del PNRR.
Probabilmente il monito di Draghi era indirizzato a quei governatori e sindaci meridionali che, in vista dei miliardi del PNRR in arrivo dall’Europa, hanno disinvoltamente avanzato la richiesta di avere assegnati i miliardi in arrivo che sarà loro premura investirli in progetti per i propri territori.E qui si comprende , alla luce di decenni di questione meridionale, qual è il rischio che si corre se così dovesse essere. Draghi ha spiegato che le indicazioni e i progetti debbono si venire dai territori e dalle esigenze concrete delle comunità meridionali ma i soldi arriveranno se spesi in progetti credibili e per stati di avanzamento.E’ il metodo Bruxelles.
Draghi ha confermato che il 40% delle risorse in arrivo sono destinate al sud e sono finalizzate a superare i ritardi rispetto al resto del Paese e i differenziali economici e sociali che configurano l’esistenza di due Italie, una infrastrutturata , produttiva e progredita al nord e l’altra, caratterizzata da una economia debole e assistita, soltanto parzialmente infrastrutturata .Ad oggi, da Salerno a Reggio, non c’è l’alta velocità, è da completare la superstrada adriatica, non c’è il collegamento veloce Napoli- Bari e, per quanto riguarda porti e aeroporti, tante promesse ma al porto di Gioia Tauro manca, per cavilli burocratici, un Km di ferrovia per essere collegato al sistema ferroviario per cui i milioni di container che sbarcano al porto per proseguire vanno trasferiti su navi più piccole. Si racconta, fra le ignominie consumate dal nord nei confronti del sud, che al tempo in cui ministro dei trasporti era Burlando del PD, già sindaco di Genova, e amministratore delegato delle Ferrovie era Lorenzo Necci, il ministro del PD diffidò Necci dall’assecondare il collegamento del porto di Gioia Tauro alla ferrovia.Proteggeva,ovviamente, gli interessi del porto di Genova come altri pensavano a proteggere Livorno e Trieste dalla concorrenza di Gioia Tauro, di Napoli, di Taranto e dei porti siciliani.
Non c’è pregiudizio antimeridionale nell’affermazione di Draghi quando fa cenno alle “rivendicazioni sterili” avanzate dai governanti del sud, essendo noti i loro limiti soggettivi e l’asservimento alle fameliche clientele che garantiscono sostegno elettorale e continuità a privilegi e potere ma è anche vero che, almeno in Calabria, ci abbiamo provato col quinto centro siderurgico, con le bioproteine di Saline e la Sir di Lamezia. E’ andata male per varie ragioni ma i potentati del nord e i boiardi di Strato non manifestarono interesse.Tutt’altro. Oggi si parla del bisogno di rigassificatori e Gioia Tauro col suo porto ha progettato già 10 anni fa con Sorgenia un rigassificatore in grado di stoccare e immettere nella rete ben 12 miliardi di metri cubi di gas all’anno, quasi un terzo del gas che importiamo dalla Russia.Si fanno i nomi di tre porti per tre rigassificatori ma quello di Gioia tauro non c’è, nonostante il progetto di Sorgenia sia pronto e solo da aggiornare.
L’altro giorno alla Camera si discuteva di una legge di modifica finalizzata a riconoscere e realizzare il collegamento stabile delle isole al resto del territorio nazionale.Per Sicilia e Calabria “collegamento stabile” non può che voler dire “Ponte sullo Stretto”ma un mungivacche della Val Brembana, promosso a legislatore eterodiretto,chiede la parola e propone di cambiare l’espressione “collegamento stabile” in “collegamento permanente”che, va da sé, potrebbe essere assicurato anche da un servizio traghetti h 24. Per dire a quali miserabili furberie è esposto il sud grazie a una rappresentanza parlamentare prevalentemente al di sotto del minimo sindacale in termini di cultura di governo. Sono le miserabili furberie della stessa forza politica che, per escludere il sud dal fondo di perequazione nazionale costituito per garantire alle regioni più deboli i servizi essenziali, si sono inventati, nel silenzio e nell’indifferenza dei parlamentari meridionali, la “spesa storica” cioè quel parametro per cui venivano finanziati i servizi esistenti (storici) e non quelli mancanti. Così se Bologna aveva 50 asili nido gliene venivano finanziati 50 mentre un comune del sud che non ne aveva nemmeno uno veniva escluso dal beneficiare del fondo nazionale di perequazione. Ora la “spesa storica”, a detta della ministra Carfagna, non ci sarà più.Meglio tardi che mai ma le miserabili furberie avallate dai governi nazionali restano. ( Nella foto Mario Draghi )