PER QUELLO CHE POSSONO VALERE I SONDAGGI ABBIAMO UNA FLESSIONE NEI CONFRONTI DEL GOVERNO E DEI PARTITI CHE LO ESPRIMONO. ESISTE UN ALTRO SONDAGGIO CHE DA RISULTATI DIVERSI SE NON OPPOSTI. AL DI LÀ DEI NUMERI GLI ITALIANI VERIFICANO SULLA PROPRIA PELLE E SUL BILANCIO FAMILIARE GLI EFFETTI DELLA MANOVRA FINANZIARIA. QUATTRO SU DIECI BOCCEREBBERO LA MANOVRA.
Articolo di Alessandra Ghisleri per “la Stampa”
Come si poteva facilmente immaginare l’esposizione della manovra finanziaria ha diviso l’opinione pubblica nelle percezioni tra coloro che la promuovono (40,4%) e quelli che invece la bocciano (41,2%) “a caldo”, dopo un paio di giorni dalla conferenza stampa ufficiale del presidente del Consiglio. Una promozione praticamente totale da parte dell’elettorato di centrodestra (86,8%) e una bocciatura altrettanto piena per i sostenitori del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle (79,8%). Si può sottolineare un atteggiamento più dialogante e morbido nel dibattito tra gli elettori di + Europa, Azione e Italia Viva dove, anche se prevale il dissenso, l’apertura su alcune proposte è più che buona. Ad esempio, entrando nel dettaglio, il provvedimento “per le mamme”, che prevede l’Iva ridotta per i prodotti per l’infanzia e un mese in più all’80% di stipendio durante il congedo parentale, piace al 66,7% del totale del campione intervistato. Tra questi il 78.2% degli elettori di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Proprio tra le mamme – come peraltro era da immaginare – si registra un successo a pieni voti. Interessanti i dati riguardanti il pacchetto dei provvedimenti per i lavoratori dipendenti che risulta ben accolto dal 65,8% della popolazione e dal 60,1% dei diretti interessati. Le indicazioni date sulla tregua fiscale mostrano un sostanziale pareggio a livello nazionale (43% contro 44,7%) come quelle per i lavoratori autonomi (38,4% a fronte del 42,3%), che tuttavia riscuotono una discreta popolarità proprio nel target direttamente interessato, con il 51% dei soggetti favorevoli. Infine i provvedimenti sul tema carburanti vengono bocciati anche se non in maniera netta (38,2% contro 50,4%). A questo punto si evidenzia ancora un po’ di incertezza e di attesa nel vivo desiderio di comprendere e approfondire i temi della manovra messa a punto dall’esecutivo. Non si può dire che non ci sia stato un impatto sul consenso di Giorgia Meloni e del suo partito, Fratelli d’Italia. Piccolo ma significativo con qualche conseguenza sull’indice di fiducia del presidente del Consiglio, che pur restando al di sopra della soglia del 40%, cede qualche punto percentuale passando dal 43,6% al 40,6%: una differenza di oltre due punti percentuali (-3,2%) nell’arco di una settimana. Il suo partito per la prima settimana non avanza nelle intenzioni di voto, ma si arresta al 28,3% (-0,2%). Anche la Lega di Matteo Salvini arretra di uno 0,7%, fermandosi al 9,5%. Solo Forza Italia, con il suo distinguo critico nei confronti della manovra, cresce di uno 0,6% arrivando a sfiorare il 7% ( 6,7%). Per il resto non si registrano importanti variazioni, tuttavia si conferma il solito testa a testa, nel centrosinistra, tra il Partito Democratico (17,2%) e il Movimento 5 Stelle (16,8%). La velocità con cui arrivano i conti delle bollette, delle carte di credito e l’aumento della spesa nelle case degli italiani è molto elevata e dovrebbe essere accompagnata da un ritmo altrettanto rapido nell’approvazione parlamentare per non mettere in discussione la fiducia data e mantenere solido l’importante vantaggio dell’esecutivo.
Articolo di Nando Pagnoncelli per “Corriere della Sera”
Il consueto aggiornamento mensile dello scenario politico evidenzia l’aumento del consenso per la premier Giorgia Meloni e il governo, un risultato tutt’ altro che scontato tenuto conto sia delle difficoltà incontrate dall’esecutivo nel mese di novembre, sia dell’inevitabile confronto con il predecessore Mario Draghi che è uscito di scena con l’indice di gradimento più elevato di tutti i presidenti del Consiglio che sono succeduti alla guida del Paese negli ultimi 30 anni. Oggi quasi un italiano su due (49%) esprime un giudizio positivo su Giorgia Meloni e il 46% sul governo, mentre le valutazioni negative sono pari rispettivamente a 35% e 38%. Rispetto al mese scorso l’indice di gradimento (rapporto tra positivi e negativi escludendo coloro che non esprimono un giudizio) sale di quattro punti sia per l’esecutivo (da 51 a 55) sia per la premier (da 54 a 58). Il consenso è quindi decisamente più ampio rispetto al bacino elettorale dei partiti della maggioranza (26,7% sul totale degli elettori) e mostra un’apertura di credito da parte dei cittadini; indubbiamente i giudizi riflettono positive reazioni ai principali provvedimenti contenuti nella legge di Bilancio, tra cui le modifiche al reddito di cittadinanza (con la prospettiva di una sua abolizione dal 2024), l’innalzamento del limite di utilizzo dei contanti, l’introduzione della quota 103 per le pensioni, l’estensione della flat tax, oltre alla conferma di alcuni dei bonus sociali già in vigore integrati da altre misure, come la riduzione del cuneo fiscale per i redditi più bassi e l’aumento dell’assegno unico per i primi anni di vita dei figli. Ne consegue che il consenso per la premier è quasi plebiscitario tra gli elettori di Fratelli d’Italia (indice 95), della Lega (93) e di Forza Italia insieme a Noi moderati (85) e risulta più marcato tra le persone di condizione economica elevata (indice 65), tra gli imprenditori, i dirigenti e i liberi professionisti (66), tra i lavoratori autonomi (64), nei ceti impiegatizi (63) e operai (62), mentre è decisamente al di sotto della media tra i ceti più in difficoltà (disoccupati 46 e persone di condizione economica bassa 46), tra gli studenti (35), oltre agli elettori del Partito democratico (28) e del Movimento 5 Stelle (31). Anche i consensi per i partiti mostrano variazioni di rilievo, soprattutto rispetto al risultato elettorale di due mesi fa. FdI consolida il primato raggiungendo il 31,4% delle intenzioni di voto, in aumento di 1,6% rispetto ad ottobre e di ben 5,4% rispetto alle politiche. Al secondo posto il M5S con il 17,5% (+1,5%) scavalca il Pd che scende al 17,2% (-1,6%). A seguire la Lega che perde ulteriormente terreno (-0,7%) attestandosi al 7,3%, quindi Forza Italia, in ripresa (+0,7%), appaiata ad Azione-Italia viva al 6,8%. Da segnalare il trend positivo (+0,5%) dell’alleanza Verdi-Sinistra-Reti civiche che fa registrare il 4,2%. Nel complesso il centrodestra, trainato dal partito di Giorgia Meloni, raggiunge il 46,7% dei consensi, guadagnando terreno (+5,5%) sul centrosinistra (23,5%), in ulteriore calo rispetto al risultato delle urne. Anche l’area del non voto risulta in aumento e tocca il 40%. Cumulando tutti i dati raccolti con i sondaggi realizzati nel mese di novembre (oltre 4.000 casi) è possibile analizzare con un buon livello di affidabilità i flussi elettorali rispetto al voto espresso il 25 settembre. Ebbene, emergono soprattutto due elementi: l’ulteriore perdita di elettorato della Lega e di FI a favore di FdI (che, inoltre, beneficia del tasso di fedeltà più elevato) e il flusso in uscita degli elettori del Pd maggiormente rivolto verso il M5S e le forze alla sua sinistra (oltre che verso l’astensione) rispetto al Terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Da ultimo il gradimento dei leader: Giuseppe Conte con un indice pari a 33 fa segnare un aumento di tre punti rispetto a fine ottobre, guida la graduatoria e si riporta sui valori antecedenti la fine del governo Draghi (quando fece registrare un brusco calo di 7 punti). Matteo Salvini si conferma al secondo posto (26), seguito da Silvio Berlusconi (23), Maurizio Lupi e Carlo Calenda (appaiati a 20). Retrocede ulteriormente Enrico Letta che perde 5 punti (17). In aumento Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli nonostante la vicenda Aboubakar Soumahoro. Il governo e Giorgia Meloni (e, di riflesso, FdI) appaiono in salute grazie al consenso per le principali misure della legge di Bilancio e beneficiano delle divisioni all’interno dell’opposizione; nel complesso non sembrano risentire più di tanto delle polemiche suscitate da alcuni «provvedimenti simbolo» e da qualche «inciampo», come le tensioni con la Francia a seguito della vicenda della nave Ocean Viking e i provvedimenti modificati nel breve volgere di pochi giorni, come la legge sui rave party o il bonus per i matrimoni in Chiesa. Tuttavia, archiviata la stagione della (quasi) unità nazionale, sta affiorando la radicalizzazione delle posizioni sui temi più caldi, di cui al momento beneficiano il M5S e le forze politiche di sinistra con i rispettivi leader, mentre il Pd dopo la sconfitta elettorale è alle prese con una complessa fase precongressuale e con la forte competizione con le altre forze dell’opposizione. Inoltre, deve fare i conti con le forti tensioni interne che hanno fatto ritornare d’attualità la famosa definizione che tempo fa Massimo D’Alema diede del Pd: «Un amalgama mal riuscito». È una definizione che rinvia alla questione irrisolta dell’identità e del posizionamento («riformista» o «di sinistra») che rischia di logorare un partito che in 15 anni di vita ha avuto 7 segretari e 2 reggenti, e di fargli fare la fine dell’asino di Buridano.