È RISAPUTO CHE L’ AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA, SE CONDIZIONATA PRELIMINARMENTE ALLA REALIZZAZIONE DEI LEP, VIENE A COSTARE 70/80 MILIARDI CHE NON SI VEDE, CON I TEMPI CHE CORRONO, DA DOVE FARLI USCIRE. IL MINISTRO CALDEROLI, PADRE DELLA “SPESA STORICA”, PENSAVA E FORSE ANCORA PENSA DI FARE IL FURBO GIOCANDO SULL’AMBIGUITÀ DEL TERMINE “IDENTIFICAZIONE” DEI LEP CHE È COSA BEN DIVERSA DEL TERMINE “REALIZZAZIONE” DEI LEP. INSOMMA L’OBIETTIVO LEGHISTA PER LE ELEZIONI EUROPEE È METTERE LA BANDIERINA SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA COME RIFORMA APPROVATA DAL PARLAMENTO, RINVIANDO A QUANDO SARÀ POSSIBILE LA REALIZZAZIONE DEI LEP. UN IMBROGLIO NELLA SCIA DELLA SPESA STORICA. A METTERE IN EVIDENZA CHE NON CI SONO I MILIARDI NECESSARI E, QUINDI, L’IMPOSSIBILITÀ A FARLA, HA PROVVEDUTO L’ UFFICIO LEGISLATIVO DEL SENATO CON UN DOCUMENTO CHE NON DOVEVA ESSERE PUBBLICATO MA, CHISSÀ COME, È FINITO IN RETE. APRITI CIELO! LA LEGA GRIDA AL COMPLOTTO E AL “FUOCO AMICO” E RITIENE CHE DIETRO CI SIA LA MELONI CON FORZA ITALIA CHE NON INTENDONO VINCOLARE IL PRESIDENZIALISMO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA.
Estratto dell’articolo di Giovanna Casadio per “la Repubblica”
Il dossier che stronca la riforma dell’autonomia in salsa leghista deflagra come una mina a metà giornata. Chi la confeziona non è tacciabile di faziosità ed è per questo che la pubblicazione a sorpresa, addirittura su un social con tanto di timbro del Senato, fa ancora più male al padre della riforma, Roberto Calderoli. Scatena un terremoto politico. Il leghista se la ritrova sul telefonino sotto forma di post che ne sintetizza il contenuto: i sogni autonomisti si infrangono contro la realtà dei numeri e la realtà racconta di un rischio disparità e diseguaglianza che lo Stato unitario non può permettersi. «Matteo, è una manovra politica degli alleati per affossare il nostro progetto, se non ritirano quel documento io lascio», dice il ministro al leader Salvini in una telefonata dai toni risoluti. […]Quel dossier mette del resto nero su bianco tutti i loro sospetti: Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, col sostegno di Forza Italia e della ministra per le riforme Elisabetta Casellati, stanno portando avanti un’altra manovra, perseguono altri obiettivi. La priorità di Palazzo Chigi adesso è la riforma costituzionale che dovrebbe portare al premierato, quanto meno con una prima lettura in Parlamento prima delle Europee del prossimo anno. Per l’autonomia differenziata ci sarà tempo e modo. Ma dopo. Calderoli e Salvini agiscono d’istinto, di pancia. Il documento porta in calce la firma dell’Ufficio bilancio del Senato. Ma i “mandanti” della trappola per i leghisti sono altri e sono politici. Salvini rassicura il suo ministro: la battaglia e di tutto il partito e se si affossa la riforma allora la stessa permanenza della Lega al governo «non ha più senso». Giorgia Meloni è lontana, giusto in quelle ore in volo verso Reykjavik per partecipare al Consiglio d’Europa. Ma Ignazio La Russa è lì. A Palazzo Madama. E se c’è un nome cerchiato in rosso dai leghisti, è proprio quello della seconda carica dello Stato. La telefonata tra Calderoli e il presidente del Senato – al quale l’Ufficio fa capo – è burrascosa. Il ministro chiede il ritiro del dossier, la cancellazione, la smentita, qualunque cosa, purché venga restituita a lui e alla Lega la “dignità” politica calpestata — a suo dire — dalla sonora bocciatura dei tecnici: «È un giudizio politico, non tecnico», alza la voce. È a quel punto che del documento si perdono le tracce. Il testo sparisce dal web e da ogni radar. Salvo ricomparire ore dopo. Nel frattempo Salvini sembra che riesca a mettersi in contatto con la premier, prima che entri nel tunnel degli incontri ufficiali in Islanda. «A che gioco stiamo giocando, Giorgia?», le intima il vicepremier. Non una minaccia (politica) ma un aut aut abbastanza chiaro. Meloni è spiazzata, dice di non saperne nulla, che si informerà. […]La toppa che allora la Presidenza del Senato riesce in qualche modo a cucire è anche peggiore dello strappo: la rettifica con cui lo stesso Servizio Bilancio di Palazzo Madama ammette la pubblicazione per errore di quella che in realtà sarebbe stata solo una bozza «non verificata ». […]Se i tecnici del Parlamento, alti funzionari con decenni di esperienza alle spalle, sono stati trascinati in una disputa politica tutta interna alla maggioranza, allora c’è qualcosa di più serio e più grave di un “mero errore” che intanto il responsabile dell’Ufficio Bilancio, Stefano Moroni, deve accreditare, con tanto di scuse «alla stampa e agli utenti per il disservizio arrecato». I sospetti leghisti sono accresciuti dal fatto che siamo alla vigilia delle audizioni sulla riforma, partiranno dalla prossima settimana in commissione Affari costituzionali. La presiede Alberto Balboni, meloniano che proprio pochi giorni fa aveva già criticato l’uscita di Calderoli sul “governatorato”, ovvero la via leghista all’elezione diretta del capo del governo tanto cara a Fdi e alla premier. «Ma da quando Calderoli ha scambiato le deleghe con Elisabetta Casellati? Spetta a lei non a lui istruire la proposta, che comunque è nelle mani del presidente del Consiglio», aveva attaccato il senatore di FdI. In serata, a tempesta non del tutto placata, Calderoli nega di aver minacciato le dimissioni dopo lo smacco incassato col dossier. Ma da ieri la pistola fumante è sul tavolo. Soprattutto, l’alleato Salvini è destinato a diventare ancor più di quanto avvenuto finora una spina nel fianco per la premier Meloni.