(nella foto Giancarlo Caselli)
QUANDO MUORE UN “CAPO” DEL PESO DI MMD TROVARE UN EQUILIBRIO INTERNO IN “COSA NOSTRA” NON È FACILE COME NELLE SUCCESSIONI EREDITARIE O COME NEI PARTITI POLITICI DOVE C’È SEMPRE UN “VICE” AD ASSICURARE LA TRANSIZIONE AL NUOVO CORSO. NELLA MAFIA SICILIANA, PER QUANTO È DATO SAPERE, CHI DETIENE I SEGRETI È IL CANDIDATO IN PECTORE, È CONVINCIMENTO DIFFUSO FRA GLI ADDETTI AI LAVORI CHE MMD HA PRESO IN CONSEGNA IL CONTENUTO DELLA CASSAFORTE RINVENUTA NEL “COVO” -SI FA PER DIRE TRATTANDOSI DI UNA RESIDENZA CON PISCINA- DI TOTÒ RIINA. LA DOMANDA CHE CI SI PONE È A CHI MMD HA CONSEGNATO I SEGRETI CHE GLI HANNO CONSENTITO UNA LATITANZA DI DECENNI. SI FA IL NOME DI UN NIPOTE, FIGLIO DI SUA SORELLA CHE, UNA VOLTA RIVELATOSI IL TUMORE, SAREBBE DIVENTATO IL SUO FIDUCIARIO. MA NON È UN ELEMENTO SUFFICIENTE PER DEDURRE CHE SIA LUI IL SUCCESSORE DI MMD ANCHE SE IL POTERE DELLA MAFIA NON È QUELLO DI UCCIDERE MA DI CORROMPERE E RICATTARE E SOPRATTUTTO CONDIZIONARE L’ECONOMIA E LA POLITICA.
Estratto dell’articolo di Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
Dottor Gian Carlo Caselli, lei ha guidato la Procura di Palermo negli anni più duri della lotta alla mafia, cosa significa la morte di un super boss come Messina Denaro?
«Messina Denaro aveva un peso criminale paragonabile a quello di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. La sua morte crea indubbiamente problemi e apre nuovi scenari all’interno di Cosa nostra. Nello stesso tempo non bisogna dimenticare che purtroppo si tratta di un’organizzazione “storica”, ben strutturata e consolidata, capace quindi di sopravvivere anche a perdite molto gravi come quella di un boss del suo calibro».
Quali potrebbero essere i nuovi scenari?
«Si potrebbe affermare sempre più la mafia degli affari con la cosiddetta “zona grigia”. Il rischio è che si riproponga il limite culturale che da sempre ci affligge. Quello di considerare la mafia un pericolo solo quando scorre il sangue per effetto delle sue strategie “militari”; sottovalutandola invece, fino ad accettare il rischio di conviverci, quando adotta strategie “attendiste”, dimenticando la sua lunga storia di violenza e quella straordinaria capacità di condizionamento che ha fatto di un’associazione criminale un vero e proprio sistema di potere criminale».
La mafia stragista della quale Messina Denaro era uno dei simboli e un capitolo chiuso?
«Quella mafia sembra finita. Sembra, perché potrebbe sempre tornare, se solo converrà ai boss e ai loro complici. Bisogna fare molta attenzione ai segnali indiretti che si lanciano».
Cioè?
«[…] Certe iniziative rischiano di costituire dei segnali che si prestano a essere fraintesi».
Quali iniziative intendete?
«Sostenere che il concorso esterno non sia un reato previsto nel nostro ordinamento, per esempio; o tagliare dal Pnrr 300 milioni di euro destinati alla gestione dei beni confiscati alle mafie, lasciando che questi beni rimanevano improduttivi e alimentando così la bestemmia che… si stava meglio quando si stava peggio».
Messina Denaro ha detto che non l’avrebbero mai catturato se non fosse stato malato. Cosa ne pensi?
«Penso che la ricostruzione risultante dalle dichiarazioni del procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, sia più che convincente: la malattia di Messina Denaro ha costituito un tassello del grande mosaico che i carabinieri del Ros hanno costruito intorno a lui con indubbia abilità investigativa. Piuttosto va sottolineato come al boss, e prima di lui a Riina e Provenzano, sia stata assicurata in carcere un’assistenza sanitaria continua e di prim’ordine».
Non bisognava?
«No no, non sto dicendo questo, tutt’altro. Si tratta di un diritto che lo Stato gli ha doverosamente riconosciuto e nel contemporaneo una dimostrazione di democrazia verso chi costituisce la negazione assoluta dei valori costituzionali. […] Uno Stato che garantisce la cura anche di costoro è uno Stato forte ed evoluto».