(nella foto Salvini, Meloni, Tajani)
NELLA VITA MA SOPRATTUTTO IN POLITICA GIOCA MOLTO L’IMPREVISTO, ANCHE SE DOLOROSO E LUTTUOSO. EBBENE PRIMA CHE HAMAS METTESSE IN ATTO L’AGGRESSIONE TERRORISTICA E ASSASSINA DI GIOVANI, DONNE E BAMBINI DI ISRAELE INERMI, IL GOVERNO MELONI-SALVINI-TAJANI VIVEVA NELL’INCUBO DELLE IMMINENTI STIME DA PARTE DI AGENZIE INTERNAZIONALI CHE SEGUONO L’ANDAMENTO DEI MERCATI E LO STATO DI SALUTE ECONOMICA DEI SINGOLI STATI. L’ITALIA RISCHIAVA CHE I SUOI TITOLI DI STATO VENISSERO QUOTATI “JUNK”, CIOÈ SPAZZATURA, ANTICAMERA DEL “DEFAULT” CIOÈ DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO COME ACCADDE ALLA GRECIA. LE NOVITÀ INTERVENUTE NELL’ASSETTO GEOPOLITICO CON LE GUERRE DI UCRAINA E ISRAELE CONSIGLIANO DI NON CREARE -IN QUESTO PARTICOLARE MOMENTO- PROBLEMI DI STABILITÀ POLITICA ED ECONOMICA ALL’ITALIA, CONSIDERATA LA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA E LA RILEVANZA PER LA STABILITÀ POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA. IL GOVERNO MELONI-SALVINI-TAJANI PUÒ RIPRENDERE FIATO E GIUSTIFICARE, QUANTO PROMESSO IN CAMPAGNA ELETTORALE E NON REALIZZATO, ADDUCENDO GLI SCONVOLGIMENTI IN ATTO NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE. RESTA COMUNQUE IN CAMPO UN DEBITO PUBBLICO CHE VIAGGIA VERSO I 3 MILA MILIARDI, UNA CRESCITA IN FLESSIONE E LA NECESSITÀ DI ULTERIORI INDEBITAMENTI. DA NON DIMENTICARE IL “PATTO DI STABILITÀ” CHE, SE CONFERMATO, AGGIUNGEREBBE ALTRI PROBLEMI A QUELLI GIÀ ESISTENTI. PER ORA INCROCIAMO LE DITA.
DAGOREPORT
Per un singolare caso di eterogenesi dei fini, il nuovo orribile conflitto tra Israele e Hamas, pur infiammando il Medioriente e tenendo il mondo in agitazione, ha permesso al governo italiano di guadagnare tempo e rifiatare. Solo la follia omicida di Hamas e la sete di vendetta di Netanyahu, con tutti gli sconquassi che si portano dietro, possono permettere a Giorgia Meloni di addebitare le criticità, i tagli, le promesse non mantenute a una situazione geopolitica che sta diventando sempre più preoccupante. Sono evidenti le difficoltà del governo a mettere insieme la legge finanziaria da 24 miliardi, tra dietrofront su “Quota 103”, tagli alle detrazioni e il gioco delle tre carte sul Canone Rai (meno carico ai contribuenti, più spese dirette per lo Stato). I pochi spiccioli destinati alla Sanità, cioè 3 miliardi, hanno spinto alle dimissioni il professor Arnaldo Morace Pinelli, capo di Gabinetto del ministro della Salute Orazio Schillaci. Ordinario di Diritto Privato all’Università di Roma Tor Vergata, Morace Pinelli avrebbe avuto più di un dissapore con il ministro. Non si sa se a minare i rapporti tra i due ci sia stata una critica all’arrendevolezza di Schillaci che ha incassato, senza colpo ferire, la “mancetta” che Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti hanno destinato alla Sanità italiana. Un settore chiave per il nostro Paese, come ripetuto fino allo sfinimento durante la pandemia e presto dimenticato. Le liste di attesa sono chilometriche, per una visita d’urgenza tocca rivolgersi alle strutture private e tra un po’ arriveremo ad aderire al modello americano: senza mostrare la carta di credito non ti curano neanche se sei in fin di vita. Inutile profetizzare quale caos si materializzerebbe se ci fosse una recrudescenza del Covid o una nuova epidemia: avremo pochi medici, spremuti all’osso, e strutture intasate. Uno scenario da “si salvi chi può”. Dopo aver buttato un occhio alla manovra del governo Meloni, un professionista al lavoro per le agenzie di rating ha chiosato a Dagospia: “Dovessimo giudicare il lavoro del governo senza considerare il contesto geopolitico, dovremmo declassare i titoli di stato italiani a spazzatura. Ma, in questo momento storico, tra la guerra in Ucraina e le tensioni in Medioriente, non possiamo permetterci di far saltare in aria un paese come l’Italia”. Morale della fava? Nonostante il nostro asfissiante debito pubblico (oltre 2.800 miliardi di euro) e la decisione del governo, come rilevato da “Le Monde”, di “rinunciare a qualsiasi riduzione del debito”, le agenzie probabilmente si limiteranno a giudicare stabile il rating con outlook negativo. Inutile dire che per fermare la scure del rating si sta muovendo mezzo mondo, a partire dal Ministero dell’Economia che prova a convincere, spiegare, promettere. Un declassamento dei Btp a “junk” obbligherebbe i fondi internazionali a dismettere i titoli italiani in pancia spingendoci rapidamente verso l’abisso, cioè il default. Per gli analisti, uno dei principali fattori di rischio è legato all’inflazione che galoppa al 5,3%. L’aumento sconsiderato dei prezzi ha messo in mutande le famiglie italiane obbligandole a intaccare i conti in banca e ad azzerare la propensione al risparmio, ormai impossibile. Colpa anche delle decisioni “scolastiche” della Bce dove Christine Lagarde si è limitata a rapidi rialzi dei tassi per contenere l’inflazione. Una mossa che ha accontentato i “falchi” del rigore del Nordeuropa, tedeschi e olandesi in testa, ma che ha messo un cappio al collo ai paesi più fragili e indebitati, come l’Italia. La leadership della Lagarde purtroppo è spompa: è incapace di scelte politiche necessarie ma impopolari. Sarebbe servito Mario Draghi che i “falchi” li ha sempre tenuti a bada, nei suoi sette anni alla guida della Banca Eentrale Europea. In questa fase, latita anche la guida di Ursula von Der Leyen. La presidente della Commissione sogna da mesi un possibile mandato-bis. Il suo sguardo è rivolto alle elezioni europee di giugno 2024, da cui la sua carriera politica potrebbe uscire rafforzata. Peccato che al voto manchino ben otto mesi, una finestra più che sufficiente per mandare allo scatafascio l’economia europea. Ursula, già sbertucciata per l’accordo monco con la Tunisia per la gestione dei flussi migratori (il dittatorello Saied ha persino restituito 60 milioni ricevuti da Bruxelles e si è messo a dialogare con Putin), è stata bersagliata per il papocchio sui fondi Ue da devolvere all’Autorità palestinese. Dopo gli attentati di Hamas è andato in scena un teatrino tra la presidente della Commissione, che voleva congelare gli aiuti, e l’Alto rappresentate della politica estera Ue, Borrell, che l’ha sconfessata e spernacchiata.