Alberto Mattioli per “la Stampa” – Estratti
Soprattutto, evitare gli opposti isterismi. La Biennale non era un accampamento di cosacchi e non diventerà un bivacco di manipoli. Giorgia Meloni le elezioni le ha vinte e, pare, senza distribuire olio di ricino agli avversari, e il suo governo ha il diritto di assegnare le poltrone culturali, comprese le poltronissime come quella veneziana, agli intellettuali “d’area” (…) Pietrangelo Buttafuoco non è un analfabeta, ha scritto dei libri, alcuni perfino belli, è un uomo colto, e se a Giorgia, che non è solo una donna, una madre ma anche una cristiana, come ha strillato in numerose occasioni, non disturba che si sia convertito all’Islam, figuriamoci a noi laici. Insomma, non sembra scandaloso che venga scelto per presiedere la Biennale. (…) E qui, forse, la destra di governo che continua a comportarsi come se fosse ancora di lotta un problema l’ha. Il personale è quello che è: per le gerarchie culturali, non c’è davvero l’imbarazzo della scelta, e talvolta le scelte suscitano imbarazzo. Per esempio: ha fatto tutto questo cancan per liberare dalle orde rosse (Carlo Fuortes, figuriamoci) la Rai che, come si dice sempre, è la principale industria culturale del Paese, il che forse spiega come sia ridotto il Paese, e i nuovi tenutari collezionano una Caporetto dopo l’altra. Tutta questa battaglia culturale per vedere Nunzia De Girolamo e Pino Insegno? Il punto è che la destra di intellettuali presentabili ne ha sempre avuti pochi, e questo spiega per esempio la sovraesposizione continua di Vittorio Sgarbi, la cui bulimia di cariche e incarichi, prestazioni e presentazioni serve a coprire la scarsità di nomi spendibili, oltre a mettere il governo in imbarazzo, adesso che si scopre che il Vittorio continua a comportarsi come prima e più di prima anche ora che ha un ruolo istituzionale. Se Meloni e Sangiuliano pensano davvero che fare una politica culturale significhi mettere alla testa delle relative istituzioni degli uomini “loro” o commissionare qualche fiction su personaggi presunti amici come Oriana Fallaci, come disse il ministro appena insediatosi salvo scoprire che la fiction già era stata fatta, allora qualcosa non funziona. In campo culturale, come tutto il resto, questo centrodestra che è sempre più destra e sempre meno centro deve decidere se crescere, maturare, diventare grande, smetterla di avere il complesso dell’underdog o continuare a urlare e insomma a stare al governo come stava all’opposizione. Moderazione, understatement, perfino qualche nomina bipartisan non sono di destra o di sinistra: sono solo comportamenti ragionevoli. Ma questo è difficile perché anche questa destra ha beneficiato dell’ondata populista e qualunquista. Invece uno non vale uno, specie in campo culturale dove qualche competenza, un minimo d’uso di mondo e di congiuntivo, la lettura di qualche libro e magari perfino in una lingua che non sia la propria sono necessari. Poi non resta che vedere come andrà a finire. Ma il fuoco di sbarramento preventivo è un errore. Lasciateli governare, che sia il Paese o la Biennale non cambia. Se non funzionano, e in effetti dopo un anno i pronostici non sono fausti, non sarà perché sono fascisti. Ma perché sono scarsi.