Estratto dell’articolo di Lorenzo De Cicco per “la Repubblica”
Era un vecchio pallino del Senatur: «Il Nord vuole le gabbie salariali! », faceva la voce grossa Umberto Bossi dal pratone di Pontida, anno 2009, governo Berlusconi IV. Durò poco, perché il vecchio capo leghista fu costretto a rimangiarsi la sparata, un po’ per i mugugni degli alleati, vedi Gianfranco Fini, un po’ perché anche tra i sindacati l’idea non faceva breccia. Ci riprovò Salvini dieci anni dopo, durante l’avventura gialloverde. Anche in quel caso, finì con un fiasco: ipotesi fatta filtrare, barricate dei 5S, smentita di rito. Ora però il Carroccio torna alla carica. E stavolta lo fa nero su bianco, con un ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati. In piena notte. Il “veicolo” per riportare in Aula l’antica bandierina è la proposta di legge che ha soppiantato il salario minimo. Durante la discussione del provvedimento-delega a prima firma Walter Rizzetto, che prevede una «retribuzione equa» senza i 9 euro di tariffario minimo chiesti dall’opposizione, è stato infatti varato un odg della Lega che chiede al governo di introdurre una «quota variabile» di stipendio per i dipendenti pubblici, in particolare «nel mondo della scuola», da calcolare in base «al luogo di attività». Questo — viene spiegato con la stessa formula che ripeteva Bossi quindici anni fa — per tenere in considerazione «il potere d’acquisto» e le fluttuazioni da Nord a Sud dello Stivale. L’ordine del giorno è stato presentato da un plotone di deputati leghisti, capitanati da Andrea Giaccone e dal collega Rossano Sasso, sottosegretario all’Istruzione ai tempi del governo Draghi. L’atto impegna il governo a «valutare l’opportunità di prevedere con apposito provvedimento un intervento sulla contrattazione del pubblico impiego». […] Questo perché «lo stipendio unico nazionale», si legge, potrebbe «comportare diseguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo». L’idea grosso modo ricalca una sortita del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che a gennaio propose «maggiore equità» nelle retribuzioni dei prof «dove il costo della vita è più alto». Salvo ingranare la retromarcia, a polemica deflagrata. Stavolta invece il blitz notturno del Carroccio è andato a segno: l’odg è stato affrontato intorno alle 23 di martedì. E col parere favorevole del governo, rappresentato dal sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, è stato considerato approvato. Senza nemmeno la discussione o un voto. Un po’ per l’ora tarda, un po’ per lo scompiglio della discussione sul salario minimo, in pochi, perfino tra i deputati presenti, si sono accorti della manovra. C’è chi pensava che l’ordine del giorno fosse un clone di quanto già previsto dalla proposta Rizzetto, che propone incentivi nei contratti di secondo livello per «fare fronte alle div ersificate necessità correlate all’incremento del costo della vita sul territorio nazionale». Ma quello era un impegno generico, che include il settore privato dove il costo della vita può già essere tenuto in conto. […] Gli ordini del giorno approvati in Aula, va detto, hanno un valore relativo. Sono atti d’indirizzo, non c’è un obbligo da parte dell’esecutivo a metterli in pratica. Però nei registri di Montecitorio intanto resta annotato che il governo ha dato parere favorevole. […]