RASSEGNA STAMPA – AMICHETTISMO DI SINISTRA E CAMERATISMO DI DESTRA…

(nella foto Giorgia Meloni e Fulvio Abbate)

 

I SALOTTI E LA ROMA DELLA GRANDE BELLEZZA QUELLA CROCIATA CONTRO IL RADICAL-CHIC

Estratto dell’articolo di Mario Ajello per “Il Messaggero”

Nell’infinita costruzione di se stessa come icona pop, Giorgia Meloni prende in prestito da un super irregolare di sinistra, Fulvio Abbate, l’espressione «amichettismo». Questa categoria politico-antropologica, soprattutto romana, allignante in terrazze e salotti tendenzialmente dem, progr e radical (chic), a cui Abbate ha dedicato un gustoso libro intitolato proprio così. Gli amichetti e gli amichettisti, questa la visione meloniana, sono quelli che si cercano, si trovano, fanno cose e vedono gente (sempre la stessa e guai ad aprire le porte delle sale da pranzo e da cena a chi non ha uso di quel mondo ristretto dove come dice Giorgia «si danno le carte»), si attovagliano, si scambiano tartine e carriere, tracciano trame e disegni di potere, puntualmente ai danni di chi non appartiene a quella casta di presunti ottimati fintamente democratici ma in realtà più consorteria (con chiacchiericcio) che agorà. Un’icona pop come Meloni l’outsider e l’underdog non può che attaccare questo milieu salottiero, in nome della propria autonomia politica (quando dice «non sono ricattabile» lo dice anche in questo senso: io le mie scelte, le mie nomine, le mie strategie le faccio da sola e non me le faccio imporre o sindacare da nessuno e tantomeno dai giri che contano o contavano o credono ancora di contare) e in ossequio a una storia, quella della destra, nella quale non l’«amichettismo» ma il senso di comunità, o il cameratismo, sono il cemento. E insomma, quando dice che con il suo avvento alla guida del governo è finita quella Italia «in cui vige l’amichettismo e dove ci sono circoli di amichettisti e c’è un indotto», Meloni sta criticando chi la critica per le nuove nomine alla Rai, per il ribaltone al Teatro di Roma, per il cambio alla guida del Centro per il libro e nei musei e in altre istituzioni. Quelli di prima, questo il suo schema retorico-politico, si davano le carte tra di loro: io un posto a te e tu a me, lì mettiamo quello e qui questo, e tra «La terrazza» di Ettore Scola e la Roma godona splendidamente immortalata da Paolo Sorrentino […] procedeva senza intoppi e senza veri avversari il tran tran della sinistra che perpetua se stessa. Ma adesso, è il messaggio di Giorgia l’icona pop che abita nella periferia della piccola borghesia e non nella Ztl a prevalenza Pd, sono arrivata io e la musica cambia: «Le carte ora le do io, o meglio le danno gli italiani. Questo è il tempo del merito». Se poi lo sarà veramente, è tutto da vedere! Perché l’«amichettismo» è contagioso e la durata nell’esercizio del potere si presta a diventare un habitat favorevole a questa sindrome. […]  Meloni osteggia la sinistra dei loft secondo questa logica: basta con i soliti privilegiati di buona famiglia (politica ma non solo) che promuovono e si auto-promuovono e con quelli che, in virtù del capitalismo di relazioni, soffiano il lavoro ai meritevoli, a chi ha studiato, a chi fa impresa, a chi fatica senza la flute tra le dita. E basta anche con gli orticelli di potere, con le cosche di redazione, con le baronie universitarie e con gli ascensori sociali tutti occupati dai pargoli, o dai veterani, della ztl. Scrive Fulvio Abbate nelle pagine di «L’amichettismo»: «Questo fenomeno racconta un insieme chiuso di relazioni. Per lo più interessate. Un progetto d’ambizione decisamente professionale. Assente è ogni vera libertà e ogni fantasia in questo recinto. In definitiva, con l’amichettismo siamo nel dominio del conformismo». L’importante è non sostituire un recinto con un altro.

GIORGIA MELONI PARLA DI AMICHETTISMO, MA SA CHI HA INVENTATO LA DEFINIZIONE? LEGGA IL TRATTATO DI FULVIO ABBATE

Domenico Agrizzi per www.mowmag.it

Dal ministro della Cultura e dalla presidente del Consiglio ci si aspetterebbe un’attenzione scrupolosa nell’uso delle parole, dei significati, del senso profondo di ogni interpretazione. Ci si aspetterebbe, appunto. Gennaro Sangiuliano e Giorgia Meloni, però, sembrano aver frainteso quel termine che Fulvio Abbate ha creato per definire una certa tendenza diffusa a sinistra: quella dell’amichettismo. Già Ottavio Cappellani su MOW aveva sottolineato la cattiva traduzione del concetto da parte del Ministro all’apertura del nuovo Salone del Libro: “amichettismo” non è “squadrismo”, e nemmeno “consorteria”. Questi ultimi due termini, infatti, si applicano in maniera piuttosto trasversale a tutto il campo politico. Ma valgono anche nel mondo degli affari, dell’editoria, dei caffè pagati al bar: insomma, valgono ovunque e per tutti. Da sempre. Quello che intende Fulvio Abbate, invece, è chiarito già nelle prime pagine del suo trattato dedicato al tema (che potete scaricare gratuitamente qui su MOW): “Le figure del mercante in fiera amichettistico negano infine ogni autentico scambio di opinioni, idee, pensieri, note, chiose, messaggi, riflessioni, obiezioni, impegnate come sono nel frattempo a montare di guardia alla trousse delle loro ragioni superiori indiscutibili”. Una sorta di credo da recitare senza porsi interrogativi, con dedizione semi-religiosa. Niente a che vedere, quindi, con l’egemonia culturale, con il riempimento delle caselle dei luoghi che contano mettendo questo o quel fedelissimo. Su questo, un’altra intellettuale, Loredana Lipperini, ha sottolineato ancora Cappellani, è scivolata nell’applicazione del concetto di amichettismo: “La consuetudine di recensirsi a vicenda fra scrittori lodandosi”. Neanche questo, però, rispetta il senso stabilito da Abbate. Lipperini si riferisce, piuttosto, all’idea di “congrega”, di comunità chiusa che si scambia favori. Oltre ai due esponenti del mondo della cultura, dicevamo, anche la presidente Meloni, durante un intervento a Quarta Repubblica su Rete4, ha tirato in ballo l’idea di amicchettismo: “Questo è l’amichetto mio, questo no… Ci sono tutti questi circoli di amichetti che…”. Di nuovo: chiaramente questo è un esito di un amichettismo più profondo. Il fatto che i benpensanti si riuniscano in circoli esclusivi in cui l’accesso è possibile solo con prenotazione (e revisione), è certamente una conseguenza di un più originario amichettismo: quello della “vocazione maggioritaria” delle idee, come dice Abbate nel suo saggio, quello che nega l’obiezione, il dissenso sulle questioni specifiche. Tutto, invece, deve essere riappacificato nel quadro generale. Dice ancora Abbate: “L’amichettismo, anche quando osserva il quotidiano del mondo, ne ignora sia l’essenza sia l’esistenza, scorge unicamente se stesso, le proprie faccine note, riconoscibili, vidimate dalle proprie ragioni, dalle proprie ulteriori ambizioni”. Innegabile, quindi, l’attitudine autoreferenziale di questa postura. Ma, al di là delle cattive interpretazioni del concetto, ciò che stupisce è il fatto che nessuno dei parlanti citati lo abbia attribuito al creatore: lo stesso Fulvio Abbate. Considerato che lo scrittore concede alla sinistra l’essenza amichettistica, sia Sangiuliano che Meloni avrebbero potuto contare sull’ennesima critica di un uomo di sinistra nei confronti della sua stessa patria politica. Una strategia, quindi, che sarebbe stata ancora più efficace per incentivare la lotta interna, anche questa familiare alla sinistra. La scelta, invece, è stata quella di denunciare la superficiale chiusura in circoli di intellettuali, della congrega e dello squadrismo. Rinunciando a grattare la crosta dell’idea. Perdendosi quella critica rivolta a coloro che lo spirito critico, a dire di Abbate, lo negano senza esitazione. Omologando la base ai vertici ed eliminando qualsiasi elemento di discontinuità, relegandolo al girone infernali dei delusi e dei rancorosi. E rimane il furto inconsapevole (si spera) e goffo dell’idea di un altro. Una storiaccia ai limiti del plagio.