DAGOREPORT
Giorgia Meloni ha un chiodo fisso: portare a casa un successo elettorale alle prossime Europee: la Ducetta considera il voto come il vero test di approvazione per la sua azione di governo. Se riuscirà, come spera, a passare dal 26% delle Politiche 2022 al 30% alle Europee, sentirà di avere in pugno le redini del centrodestra e di essere finalmente legittimata da “laggente” nella sua marcetta su Roma. L’ossessiva ricerca di un plebiscito a consacrare definitivamente la sua leadership politica e di governo cozza però con la saggezza di una delle leggi cardine della politica: attenzione, quando si stravince, è il momento che si inizia a perdere. Una perla di realpolitik resa ancora più evidente dall’atteggiamento di Matteo Salvini, alleato di Giorgia Meloni e suo vicepremier, trasformatosi nel primo sabotatore e/o avversario delle principali scelte del Governo. Il leader del Carroccio, che non ha mai accettato di dover cedere il testimone, come capo della coalizione, alla vertcalmente svantaggiata Regina della Garbatella, fa guerriglia interna su ogni provvedimento: sbraita, minaccia, incalza, destabilizza tutto il possibile nel tentativo di complicare la vita alla premier nel tentativo per ora vano di rosicchiarle consensi. L’ultimo terreno di scontro riguarda la “madre di tutte le riforme” (cit. Meloni), cioè il premierato: la Lega non accetta la norma anti-ribaltone voluta da Fdi, che in caso di sfiducia al Presidente del Consiglio eletto impedirebbe di nominare un nuovo premier (“Troppi poteri in mano a una sola persona”). La furia bellicista di Salvini verso il premierato nasce dalla consapevolezza che la riforma “madre” per la Lega, cioè l’autonomia differenziata, resterà carta morta. Dopo il via libera in prima lettura del Senato al Ddl Calderoli, il testo dovrà passare all’esame della Camera. Seguiranno discussioni, correzioni, regolamenti attuativi: in pratica, di rimando in rimando, prima delle Europee, nisba, e dopo, (probabilmente) anche. E la Lega, che sognava di portare a casa la riforma prima del voto, si ritroverà a consolarsi con un bidet: una mano davanti e l’altra ndré. Ragion per cui Matteo Salvini ha deciso di rompere le uova nel paniere su tutto. Un altro calcione, l’ex Truce l’ha rifilato sul caso di Ilaria Salis con l’intervista a “Repubblica”, in cui ha ribadito il sostegno a Orban e alla giustizia ungherese (“Deve essere processata in Ungheria. La sinistra ci dice sempre che dobbiamo rispettare la magistratura, ecco, allora rispettino anche la magistratura ungherese”), complicando la vita alla premier. Proprio ora che Ursula Von der Leyen conta su di lei per una moral suasion su Orban per togliere il veto ai 50 miliardi di aiuti all’Ucraina, la Ducetta si trova a dover chiedere un altro favore al leader ungherese, sul caso Salis: dovrà convincerlo a essere per una volta democratico. E Salvini che fa? Elogia la durezza del sistema Ungheria, mettendo Orban nelle condizioni di spernacchiare la Meloni facendole capire: mi chiedi di non usare il pugno di ferro quando il tuo principale alleato ti scredita elogiandomi pubblicamente per la fermezza? L’altro siluro è quello sulle alleanze europee: un colpo di ju-jitsu rifilato a Ursula ma diretto a Giorgia Meloni. “Personalmente non voterei per un secondo mandato della von der Leyen, la Commissione è stata disastrosa”. Una gomitata al costato della premier, da mesi impegnata in un intenso flirt con l’ex cocca della Merkel: l’italiana sogna di entrare nella stanza dei bottoni di Bruxelles, la tedesca di essere confermata a Palazzo Berlaymont. Anche l’ipotesi by Salvini di proporre Alessandro Daffina alla guida di Cdp al posto di Scannapieco rientra a tutti gli effetti nella strategia di logoramento del “Capitone”. Come scrive Carmelo Caruso sul “Foglio” di oggi: “Perché Salvini vuole sostenerlo? Perché ha bisogno, ripete, di un ‘altro manager nelle partecipate’ e perché l’operazione Daffina, direbbe Arianna Meloni, è una classica azione per ‘far saltare i nervi’”. Ma lo stesso segretario leghista non sta attraversando un periodo rilassante: i consensi della Lega ristagnano, negli ultimi sondaggi il Carroccio è stato quasi agganciato da Forza Italia; nel partito monta l’insofferenza per l’irrilevanza della Lega al governo; Fratelli d’Italia gli ha già di fatto “scippato” la Regione Lombardia (la truppa Meloni è la prima forza politica al Pirellone) e si prepara, con il no al terzo mandato per i governatori, a fare lo stesso con il Veneto bloccando la ricandidatura di Luca Zaia; la carta Vannacci, che Salvini vorrebbe usare per risollevare i consensi alle europee, indispettisce i moderati del partito, che vedono il generale come un corpo estraneo. In più, c’è l’inchiesta sulla famiglia Verdini: il ”cognato” di Salvini, Tommaso, e il suocero Denis, sono indagati per turbativa d’asta e traffico di influenze illecite per il caso degli appalti Anas. Ce n’è abbastanza per far saltare i nervi a un terziario francescano, figuriamoci a un imprevedibile birbantello, sempre su di giri, che fece saltare il governo Draghi non appena s’accorse che Fdi aveva superato la Lega nei sondaggi e, tre anni prima, mandò gambe all’aria il Conte I, invocando pieni poteri, con il mojito in mano, alla consolle del Papeete. Con questi “precedenti”, Giorgia Meloni farebbe bene a chiedersi: cosa farà Matteo se la Lega alle europee tracollasse nei consensi, superata perfino da Forza Italia?