DAGOREPORT
All’inizio della legislatura, ottobre 2022, Sergio Mattarella non era per nulla ostile a Giorgia Meloni e al governo di destra-centro. Sia lui che Mario Draghi volevano aiutare la premier a orientarsi nel procelloso mare del governo e dei rapporti internazionali, tant’è che nelle primissime settimane la Sora Giorgia si travestì da “Draghetta”, mostrando una cautela sorprendente e una prudenza molto democristiana. Anche perché la finanziaria riuscì a passare l’esame di Bruxelles solo grazie a Draghi che, in sostanza, l’aveva messa a punto. I mesi successivi, però, hanno lasciato emergere il suo vero volto: una Ducetta piena di spigoli, accentratrice e diffidente, ossessionata da congiure e tradimenti. Come nel film di Al Pacino “Carlito’s Way”, il passato ha bussato alla porta, con in mano vecchie cambiali da riscuotere: ed ecco i La Russa, i Fazzolari, i Donzelli, i Delmastro. Tutto quella vecchia Fiamma, ex Fronte della Gioventù, che per un paio di decenni è rimasta sul marciapiede di Via della Scrofa in attesa della rivincita. Il cipiglio molto mal-destro mostrato da Palazzo Chigi, da “Fascio tutto io!”, ha via via sempre più indispettito Mattarella, che, da siciliano vero, se l’è legata al dito, mostrando un atteggiamento sempre più aspro nei confronti dell’esecutivo. Un sentiment del Quirinale che ha trovato subito la complicità del Deep State, dalla Corte dei Conti alla Ragioneria generale dello Stato. L’ennesima riprova di tale conflitto è l’ultimo uno-due sferrato al mento della Melona: prima l’affondo contro le manganellate della polizia agli studenti di Pisa, sabato. Ala durissima dichiarazione del Capo dello Stato – (“Il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”) – la risposta della premier è stata quella di delegare Donzelli a esprimere solidarietà alla… Polizia. Un assordante silenzio, quello della “Nana bionda”, che nasce dal fatto che il giustizialismo antico di Fratelli d’Italia non vuole abbandonare le Forze dell’Ordine in mano all’eterno nemico, Salvini. Poi il ceffone ancora più sonoro, ma sottovalutato dai media, sul piano Mattei, con l’invito a non escludere l’Unione europea dal fantomatico progetto per l’Africa (“E’ urgentissimo definire un nuovo patto d’immigrazione e d’asilo e stringere intese con i Paesi di origine e transito […] Il governo ha lanciato il piano per collaborare con i paesi del continente africano in una maniera che coinvolga l’intera Unione europea”). Uno schiaffo del Colle alla arrogante mitomania della sora Giorgia, che immaginava, attraverso l’Eni, di poter metter in riga 50 paesi africani e trasformare l’Italia in un indispensabile ponte tra il continente nero e il vecchio, senza passare per i Macron e gli Scholz. L’altro dispetto di Mattarella all’ex fan ballerina di Michael Jackson sta nell’inossidabile rapporto con Gianni Letta, più che detestato dall’entourage di Fratelli d’Italia e invece da sempre ben accolto tra le stanze damascate del Quirinale. Un asse che ha portato nuovamente frutti: nella scelta dei suoi vicesegretari, infatti, Tajani ha scelto anche Deborah Bergamini, che è stata scelta da Marina Berlusconi e dall’Eminenza Azzurrina per raccogliere l’ereditàdi Letta come ambasciatrice con i poteri romani. Tajani, che di sicuro non avrebbe scelto Bergamini come vice, ha fatto buon viso a cattivo gioco. Del resto, l’ex monarchico è a capo di Foirza Italia solo per il suo forte rapporto con il Partito Popolare Europeo. Punto. Il presidente della Repubblica, come molti, sta aspettando il 9 giugno. Sa che dalle urne europee dipendono le sorti del Governo, del Paese e dell’intera Unione. Dopo il voto Mattarella avrà un ruolo enorme . Sarà lui, e non Giorgia Meloni, a interloquire da pari grado, ad esempio, con Emmanuel Macron. I due presidenti, che hanno un rapporto speciale e si rispettano, hanno suggellato questa intesa con il Trattato del Quirinale, era Draghi. Toccherà al Colle tenere l’Italia al riparo da pericolosi sbandamenti sovranisti, anche perché la candidata numero uno alla presidenza della Commissione, cioè l’uscente Ursula von der Leyen, ha già chiarito che il perimetro della sua nuova maggioranza non cambierà rispetto a quello attuale. Anche perché l’ex portabosetta di Angela Merkel non se lo può permettere. Sostituire nel governo della Commissione europea i socialisti con i Conservatori della Meloni, anche nell’ipotesi in cui dovessero ottenere più voti del Partito Socialista. vuol dire per Ursula scavarsi la fossa: sarebbe subito guerra con il cancelliere socialista Olaf Scholz. A sostenerla quindi ci sarà il solito terzetto, Partito Popolare- Socialisti e i Liberali di Macron. Ursula vuole mettere al centro del suo molto probabile secondo mandato la nomina di un commissario alla Difesa europea, partendo dalla produzione di armi, fino ad arrivare alla creazione dell’esercito europeo, tema indigesto a molti Stati membri, mal disposti a cedere sovranità sui loro eserciti e agli Stati Uniti, mai troppo entusiasti a un’Europa più forte e autonoma. A dare manforte alla von der Leyen c’è Mario Draghi, che si sta occupando di un report sulla competitività europea e, nei giorni scorsi, ha incoraggiato l’Ue a intraprendere un cammino di maggiore integrazione. Il suo monito ha puntato dritto agli schei: “Servono 500 miliardi all’anno”. Un attivismo, quello di Mariopio, che è riflesso della sua disponibilità a diventare Presidente del Consiglio europeo in caso di mancato accordo su altro nome, ma tutti sanno che il vero grande sogno dell’ex Presidente della Bce è il Quirinale.