1 – CONTE SI RISVEGLIA PARTNER DEBOLE ALLARME RADICAMENTO NEI TERRITORI
Matteo Pucciarelli per “la Repubblica” – Estratti
L’alleanza con il Pd non è in discussione, ma da adesso in poi sul “campo largo” sì, occorrerà qualche riflessione in più. «Perché una coalizione locale con dentro i partiti come Azione e Italia viva che poi a livello nazionale ti attaccano tutti i giorni non è qualcosa credibile per gli elettori, e i nostri sono particolarmente sensibili», è il ragionamento che si fa in casa 5 Stelle dopo il brutto risultato abruzzese. (…) Giuseppe Conte, va detto, non si è nascosto dietro a un dito. Quello di domenica per il suo partito è stato «un risultato modesto che ci spinge a lavorare con sempre più forza sul nostro progetto di radicamento nei territori, per convincere a impegnarsi e a partecipare soprattutto i troppi cittadini che non votano più». Un’ammissione che non era scontata, visto che di solito il giorno dopo delle elezioni non ha mai perso nessuno. Gianluca Castaldi, ex senatore e coordinatore del M5S in Abruzzo, si è dimesso, un gesto apprezzato da Roma. Dopodiché il disco rotto del Movimento quando le amministrative vanno male è sempre lo stesso: occorre radicarsi, occorre strutturarsi. Il “nuovo corso” partitico inaugurato da Conte è cominciato da quasi tre anni, e senza struttura i 5 Stelle – come visto – riuscivano comunque ad andare in doppia cifra quasi ovunque. Senza struttura e senza alleanza con il centrosinistra, ed è questo che alla fine inquieta tutti in via di Campo Marzio. Senza il Pd la destra vincerà sempre, ma con il Pd il M5S perde la sua capacità di espansione, ed è un dilemma che Conte non è ancora riuscito a risolvere. Anche quando la settimana scorsa in Sardegna vinse Alessandra Todde, i numeri della coalizione confermavano questa tendenza, brutti pensieri che vennero scacciati subito pensando alla prima elezione a presidente di un esponente 5 Stelle. L’enigma del Movimento non è nuovo, fu Luigi Di Maio quando era capo politico ad affrontarlo per primo dopo l’avvio del governo giallorosso, alle regionali in Umbria. Il primo esperimento di alleanza locale con il Pd fu un mezzo disastro e ancora oggi gli elettori potenziali dei 5 Stelle non vedono di buon occhio la coabitazione con i democratici. «L’idea di una corsa in coalizione non paga, gli elettori mal digeriscono la nostra presenza accanto a certi simboli: Molise, Lazio, Lombardia, Abruzzo», ammette il consigliere uscente Pietro Smargiassi. Non ci sarà però nessun passo dietro sull’idea di alleanza con Pd e rossoverdi. Su questo dubbi non ce ne sono, assicurano i vertici del Movimento. Neanche un esponente della vecchia guardia oltranzista come Danilo Toninelli disconosce la strategia di fondo. «Va bene allearsi con il Pd, malissimo allearsi con Renzi e Calenda e speriamo che questo non accada più. Ma possiamo dire che va meglio se il candidato è del M5S?», le sue parole in diretta social con i fan. Ecco, è il ragionamento che va per la maggiore al quartier generale dei 5 Stelle. Basta accozzaglie, no al campo largo, spazio al campo giusto. Da ciò se ne conseguono un paio di osservazioni per il futuro prossimo. In Basilicata ad esempio le possibilità di un accordo attorno ad un altro nome, più vicino alle sensibilità dei 5 Stelle, ci sarebbero. Più difficile che si trovi una quadra in Piemonte, dove le distanze sui temi, e le scorie del passato, pesano parecchio. Una coabitazione nel centrosinistra a targhe alterne, insomma. Questo è il disegno per il futuro, trattando di volta in volta le migliori condizioni, i programmi più di “rottura”, che quindi difficilmente possono includere i centristi. In questo il M5S è convinto di trovare una sponda sicura sia nei rossoverdi di Alleanza verdi sinistra che nell’area dem più di sinistra. Tocca solo vedere se il Pd può accettare questo condizionamento perpetuo.
2 – CONTE E IL CROLLO M5S: «RISULTATO MODESTO» PERSI 75 MILA ELETTORI, MALUMORI E DIMISSIONI
Emanuele Buzzi per il “Corriere della Sera” – Estratti
Il Movimento dopo l’esito delle Regionali in Abruzzo si sveglia — metaforicamente — con ferite importanti da rimarginare. Giuseppe Conte parla di «risultato modesto», ma dentro ai Cinque Stelle si levano diverse voci che usano ben altri termini per descrivere la situazione: «disfatta storica», «crollo epocale», «punto di non ritorno». Quello che è certo, al di là dei termini con cui definire o meno la sconfitta, è il dato numerico. Il voto per le Regionali 2024 ha fatto segnare il peggior risultato di sempre dei Cinque Stelle in Abruzzo. In tre Regionali, tre Politiche e due Europee gli stellati non erano mai scesi sotto quota 100 mila preferenze (il dato più basso era quello relativo alle ultime Politiche, quelle del 2022, con 115.336 voti): ora si sono attestati a 40.629 voti, praticamente un terzo degli elettori di 18 mesi fa. (…) «La rivoluzione contiana si è fermata a Vasto», ironizza un dissidente. Di sicuro, il nuovo corso sembra non aver avuto impatto in Abruzzo. E non sono solo i numeri a dirlo: la più votata del Movimento, Erika Alessandrini, 2.463 preferenze ottenute, è da sempre molto vicina a Enrica Sabatini, moglie di Davide Casaleggio. A pagare è Gianluca Castaldi, coordinatore regionale del M5S in Abruzzo, che annuncia le proprie dimissioni via social: «Il cuore e l’impegno non sono bastati a battere i loro candidati. Apro la mia personale riflessione sul ruolo da coordinatore e la metto nelle mani del presidente». Conte dal canto suo incita a «lavorare con sempre più forza sul nostro progetto di radicamento nei territori». «Dobbiamo farlo sulla scia della vittoria ottenuta in Sardegna», prosegue il leader. E chiosa: «Un segnale da cui ripartire». Ma non tutti nel Movimento la pensano come lui. C’è chi invita a «rileggere i dati delle Regionali» sull’isola (i Cinque Stelle hanno preso 53.066 voti, oltre sedicimila voti persi rispetto al 2019 e oltre 96 mila rispetto alle Politiche 2022). Lo scontro, finora latente, sembra accendersi sulla futura collocazione del Movimento nello scacchiere politico. «Solo qualche giorno fa, Conte sosteneva che il Pd è un protagonista del nostro campo, quello progressista. Ora possiamo dire che stiamo diventando junior partner dei dem», sostiene una voce critica.