La verità è che il mondo politico si trova ad affrontare una situazione anomala per una campagna elettorale di cui nessuno parla ma che procede sott’acqua con grandi incertezze.Il covid e le misure restrittive del governo hanno fatto saltare il sistema delle clientele politico-elettorali nel momento in cui le regole per tutti le detta il governo centrale lasciando alla politica locale le decisioni da prendere per le situazioni particolari.
E così la politica nella sua espressione istituzionale e di governo si trova da una parte a dover fronteggiare il collasso della rete ospedaliera sotto la pressione dei ricoveri in crescita esponenziale e dall’altra la protesta delle categorie commerciali e produttive che rifiutano le misure restrittive del governo.
“per quanto concerne la rete ospedaliera, la regione registra gravi ritardi nell’implementazione della rete ospedaliera stessa, la rete emergenza urgenza e le reti tempo-dipendenti”;
“l’attività delle strutture ospedaliere risulta poco performante ed evidenzia il sostanziale ritardo nella messa a regime delle azioni di riorganizzazione programmate da parte delle aziende sanitarie, nonché l’assenza di una governance a livello regionale”.
( Nella foto il commissario Cotticelli)
Il fragile sistema sanitario calabrese credo che quasi certamente non avrebbe retto soprattutto nei prossimi mesi l’impatto con questi tassi di crescita dei contagi, senza l’approvazione di misure di contrasto alla diffusione del Covid.
Ora, con la viltà tipica della politica senza vergogna, cercano di caricare al governo nazionale la decisione delle restrizioni , l’individuazione delle zone rosse e le chiusure da coprifuoco per le attività di maggior rischio. Non intendono cioè affrontare la reazione dei cittadini e le proteste di piazza pur nell’evidenza inconfutabile che in materia di sanità le Regioni hanno sempre rivendicato la piena competenza.
La storia della tarantella,in verità, a parte il nome che prende dagli spasmi e dai movimenti scomposti cui va incontro chi viene morso dal “ragno nero” della fantasia popolare, risale alla Magna Grecia e non è una danza di malattia e di sortilegi ma di festa, di amore, di energia variamente interpretata ed espressa.Nella tradizione più remota e rispettata è una danza fatta di regole e di simbolismi codificati, dove ogni gesto, ogni movenza ha un suo significato. E’ una danza “laica” anche se nel sud segna e caratterizza le feste della tradizione religiosa ma c’è stato un tempo in cui la Chiesa dichiarò la tarantella fuori legge perché di natura demoniaca.
E così dalle feste pubbliche del dio pagano, dalla festa del dio che balla, si passa alla festa nascosta del dio che perdona, rappresentato dal suo apostolo San Paolo protettore dei tarantati nel chiuso dei cortili o nel sagrato della basilica di Galatina che al santo è dedicata e che accoglie ed assiste le vittime della taranta nella fase finale della guarigione. La storia della tarantella è dunque storia di repressione, una repressione che parte dalla cultura egemone e si abbatte sulla cultura contadina, arcaica ed ostinatamente legata alle favole e ai riti della terra e degli astri
Jole Santelli, una carismatica politica del partito di Berlusconi, Forza Italia, ha vinto le elezioni regionali solo a gennaio. Era una donna insolita che sembrava fuori dal tempo, proprio come il suo partito, che da tempo si stava ridimensionando: mentre agitatori come Matteo Salvini dominano il campo di destra in Italia con slogan ad alta voce, Jole Santelli si è affidata a toni moderati. E quando Forza Italia ha ottenuto solo il sei o sette per cento di consensi a livello nazionale, lei ha ottenuto una grande vittoria in Calabria. Ha celebrato la serata elettorale con una danza popolare, la tarantella.
Il problema da affrontare, con tutte le cautele del caso, è come separare la protesta eversiva e criminogena dalla protesta civile e non violenta, pienamente legittima, di quelle frange che si sentono, nella loro attività, particolarmente danneggiate dalle misure restrittive del governo. Nell’immaginario collettivo merita di rimanere impressa la scena, in piazza Duomo a Milano, della protesta dei lavoratori del mondo dello spettacolo con quei 500 bauli geometricamente allineati e, una volta aperti, simbolicamente vuoti a testimoniare la crisi del settore in tutte le sue articolazioni.
Questa umanità afflitta da una ricerca continua di affermazione sociale non desta simpatia in condizioni normali perché si rivela rumorosa e un po’ sguaiata nell’agiatezza che ostenta, figurarsi quali considerazioni smuove nel momento in cui in virtù della sua agiatezza, reale o fittizia che sia, si esibisce nella rappresentazione di una diversità che offende il sentimento diffuso e prevalente di un Paese alle prese con una pandemia che fa oltre 20 mila contagi al giorno, satura gli ospedali, impegna allo stremo medici e infermieri insufficienti a fronteggiare la situazione , mette in ginocchio l’economia e le famiglie che perdono il lavoro e non si ha alcuna certezza sulla uscita dall’incubo e la fine della paura.
L’amore che Muccino dichiara di aver provato durante le riprese “girando” col cuore, in una sorta di simbiosi con l’amore di Jole Santelli per la sua terra, non è in discussione ma non lo assolve dagli stereotipi con cui ha inzavorrato il cortometraggio e che rimandano a sequenze di film già visti e prevalentemente ambientati in Sicilia.Veramente originale la tesi che i fonemi e le inflessioni di alcune comparse nulla tolgono all’emotività delle immagini.E meno male che Jole Santelli voleva una immagine della Calabria più autentica e più rispondente alla cultura e al sentimento di un popolo, senza voler occultare gli aspetti negativi che pure ci sono.
Il cortometraggio di Muccino,insomma, non ci esprime e non ci rappresenta al netto delle melensaggini che Bova e la Rocio dispensano nel loro girovagare fra mare e monti.Qualcuno avrebbe dovuto spiegare a Muccino che i calabresi con le “coppole” hanno un rapporto critico e il fatto che Muccino sia solito portarla non lo assolve per averne fatto un elemento identitario. ( Nella foto l’opera monumentale di Salvador Dalì “San Giorgio e il drago ” Museo all’Aperto di Cosenza )
E a chi critica “l’asinello che passa”, il regista risponde che “l”asinello c’era veramente, e io l’ho filmato. Criticano l’uso della coppola perché anacronistico? Io dico ce ad esempio io ce l’ho, la uso. Gli abiti dello spot sono per metà di uno dei più grandi stilisti al mondo. Si parla di cose di cui non si sa, solo perché si vuole attaccare questo cortometraggio”, aggiunge Muccino.
C’è un problema da affrontare che condiziona tutti gli altri e cioè la partecipazione al voto.In Calabria la partecipazione è andata sempre più abbassandosi facendo registrare , col referendum del 20 settembre sul taglio dei parlamentari, il tasso più basso di partecipazione e circa l’80 per cento a favore del taglio.Ora deve essere chiaro, a chi non ha ancora capito come funziona in democrazia il meccanismo elettorale vigente, che se va a votare il 35-40 per cento degli aventi diritto e il rimanente 60-65 per cento se ne sta a casa a guardare, vincerà la partitocrazia con i suoi candidati in carriera e l’apparato di potere e di relazioni di cui dispongono.